Dopo il Covid il lavoro non sarà come prima, però un po’ di attività in presenza sarà fondamentale. Vincerà proprio chi saprà trovare l’equilibrio. Parlano ceo e responsabili HR di 55 grandi aziende
di Manuel Follis

C’è chi prevede che il mondo del lavoro tornerà al pre-pandemia già entro l’estate del 2021. E chi invece sposta in là di un anno il momento nel quale si recupererà la «normalità». Il termine «normalità» va messo inevitabilmente tra virgolette, perché nessuno si aspetta che tutto tornerà realmente come prima. MF-Milano Finanza ha contattato 55 grandi società, dal mondo della finanza a quello industriale, cercando di capire quando ma soprattutto quale tipo di «nuova normalità» si prospetta per il mondo del lavoro. Pochi giorni fa Microsoft ha annunciato che una parte dei suoi dipendenti tornerà a lavorare nella sede di Redmond (Washington), Google ha deciso di destinare 7 miliardi di dollari non solo per nuovi data center, ma anche per nuovi uffici e il ceo di Apple Tim Cook ha detto che non vede l’ora che i suoi dipendenti tornino in sede. Qualcosa sta cambiando a livello mondiale e molti grandi gruppi prima estremamente propensi al lavoro da casa (basta leggere le dichiarazioni dello stesso Cook di un anno fa) che oggi invece sono preoccupati della mancanza di socialità.

Più produttivi. Il problema non sembra essere quello della mancanza di efficienza. «In questo anno abbiamo avuto modo di sperimentare nuove modalità di lavoro con successo e con benefici sulla produttività e il benessere delle persone» spiega Guido Stratta, direttore people and organization di Enel. Molti gruppi in realtà avevano introdotto lo smart working a vari livelli nen prima della pandemia. In Hera «il progetto è stato progressivamente esteso alla luce dei risultati positivi ottenuti, in termini di qualità del lavoro e apprezzamento dei dipendenti», commenta il presidente esecutivo Tomaso Tommasi di Vignano. In generale, per molte delle società con lavori intellettuali ci sono state ricadute positive. «Il principale effetto dello smart working è stato un aumento di efficienza, produttività e interscambio tra colleghi, un maggiore lavoro tra i team sulle operazioni con minori tempi dedicati a spostamenti e pianificazione di riunioni fisiche» spiega Filippo Modulo, managin partner dello studio legale Chiomenti. Lo smart working «ha migliorato la produttività e non ha avuto effetti negativi sull’efficienza» sostiene il ceo di Windtre Jeffrey Hedberg mentre per Niccolò Querci, direttore centrale Risorse Umane di mediaset ha generato «un aumento della produttività e della focalizzazione». E’ vero, conferma Roberto Prioreschi, managing director di Bain & Company Italia e Turchia, di questa rivoluzione inaspettata «ha sicuramente beneficiato la produttività media, anche se gli effetti sui singoli non sono e non saranno necessariamente così positivi».

Creatività e salute. Ed ecco che il clima che sta cambiando. Se nei primi mesi le aziende si sono stupite di quanto la produttività non risentisse del lavoro da remoto, oggi iniziano a esserci i primi effetti negativi. Un recente servizio della Cnn ha reso noti i risultati di un sondaggio di Goldman Sachs da cui risulta uno stress tra i banchieri aumentato a livelli insostenibili, orario di lavoro continuato e sonno sparito. Per lo stesso motivo Citigroup di recente ha vietato le videochiamate di lavoro di venerdì. Lo smart working «è stata una scelta di necessità che non può e non deve diventare la regola», spiega chiaramente Francesco Sciaudone, managing partner di Grimaldi Studio Legale, che ha riscontrato «una riduzione della concentrazione e uno sfilacciamento del lavoro di gruppo, sul quale si era per anni investito molto». Acquedotto Pugliese ha messo in condizione circa 1000 persone di lavorare da casa. Un’organizzazione che «non ha assolutamente pregiudicato le nostre performance ma, al contrario molti nostri indicatori sono addirittura migliorati», sottolinea il coordinatore industriale della società Piero Scrimieri. Il problema è che «si iniziano a percepire segni di disagio», prosegue Scrimieri e «il nostro sportello psicologico istituito per consentire un dialogo con le persone sta ricevendo molte telefonate. Tornare alla normalità significherà potersi incontrare e lavorare insieme». Molte aziende hanno applicato nuove modalità con successo, ma «aver dovuto lavorare sempre e per forza da casa ha creato degli eccessi che hanno richiesto un notevole sforzo sia da parte dei singoli che per i team leader, specie con riferimento alla definizione più serrata degli obiettivi, alla corretta distribuzione dei carichi di lavoro e all’inserimento e coaching dei neoassunti», testimonia Maurizio Di Fonzo, chief people & organization officer di Cassa Depositi e Prestiti. L’azienda di abbigliamento Save the Duck era preparata per lavorare in remoto, «ma nonostante questo i risultati sono stati molto negativi. L’azienda ha sofferto di efficienze in particolare sui tre reparti: ufficio stile, ufficio amministrativo e reparto customer care commerciale, dice il ceo Nicolas Bargi. Tutto questo senza contare gli effetti sulla creatività, aspetto che è emerso in alcune società a partire da Mediaset. Per questo Carel, che come quasi tutte adotterà in futuro un modello organizzativo ibrido e flessibile, punta a lasciare almeno 3 giorni a settimana in presenza. «Questo aumenterà la produttività del lavoro individuale e consentirà allo stesso tempo di mantenere quegli spazi e quei tempi di condivisione utili a rafforzare il pensiero creativo e il senso di appartenenza all’azienda», spiega il ceo Francesco Nalini.

Uno spazio diverso. Quello che per molti sarà diverso è lo spazio di lavoro, anche senza arrivare agli investimenti annunciati da Google. «I nuovi modelli prevedono una concezione diversa degli uffici, come luogo di scambio, condivisione, creatività e team work» sostiene Walter Ruffinoni, ceo di NTT Data Italia ed Emea. Gli spazi di Ing sono già organizzati sul modello open space «ma stiamo lavorando per renderli ancora più flessibili. Le aree dedicate al lavoro individuale lasceranno spazio a quelle destinate alla collaborazione, alla formazione e alla socialità», aggiunge Alessio Miranda, country manager del gruppo. Quasi tutti si aspettano che gli uffici saranno nuovamente frequentati, «ma saranno utilizzati in maniera diversa», evidenzia il ceo di Italgas, Paolo Gallo. «In alcune nostre sedi è in corso un progetto pilota di coworking, in cui condividere in base alle proprie esigenze la scrivania e gli altri spazi utili attraverso meccanismi agili di prenotazione». Da ABB a Discovery fino a Zurich, il modello co-working e la modifica degli spazi accomunano un po’ tutti. In pratica si prevede l’addio al posto di lavoro tradizionale, come conferma anche Luciano Sala, direttore human resources di Tim: «Non si avrà più una scrivania assegnata, lo spazio di lavoro non sarà sempre lo stesso e ci saranno aree di lavoro condivise che favoriranno l’incontro tra persone che operano su ambiti diversi, stimolando così lo scambio di idee e la dinamicità sul posto di lavoro».

Ma quando questa nuova normalità? C’è chi spera già entro l’estate e chi si proietta in avanti di oltre un anno. Nelle sedi italiane di Saipem «lo smart working entrerà a pieno regime per metà del 2022», conferma il ceo Stefano Cao. Leggermente più ottimisti Pirelli e o Mondadori. «Prevediamo un graduale ritorno alla ‘new normality’ verso l’autunno», auspica Marco Tronchetti Provera, ceo del gruppo della Bicocca, mentre la società editoriale ipotizza «il ritorno a una nuova normalità tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022», spiega Daniele Sacco, direttore centrale Risorse umane. In generale, la maggior parte delle aziende prevede una regolarizzazione solo il prossimo anno. «Non pensiamo che la pandemia possa diventare un ricordo prima del 2022», sostiene Giuseppe La Scala, senior partner dello studio omonimo, mentre per il ceo di Italcer, Graziano Verdi, la normalità piena potrebbe tornare «dalla primavera/estate 2022 vista la non evoluzione vaccinale e il numero ancora elevato dei contagi giornalieri».

Rientro in azienda. A quel punto si dovrà gestire il controesodo. «Ci stiamo organizzando per consentire un rientro progressivo quando le condizioni lo permetteranno», evidenzia il ceo di A2A, Renato Mazzoncini. Stabilito che il modello ibrido casa/lavoro viene dato per scontato, molte società premono per ripristinare la nuova normalità prima possibile, «anche per non correre il rischio di allontanamento delle risorse dall’azienda e di perdita di relazioni che a nostro avviso continuano a ricoprire un valore fondamentale», commenta Alessia Ventrella, HR director di Sopra Steria Italia. In realtà ci sono aziende, come la «nuova» Inwit, frutto dell’aggregazione con Vodafone Towers, che sono nate in smart working. «L’intero processo di fusione, e quindi di integrazione, è stato gestito in questa nuova normalità», spiega Francesca Stacchiotti, direttore HR. Fin all’insorgere dell’emergenza sanitaria la società delle torri tlc ha collocato tutte le persone in smart working. Inwit non è è stata l’unica e c’è infatti chi progetta di spostare fortemente lasse della bilancia sullo smart working. «Abbiamo accentuato la gestione più elastica delle attività offrendo la possibilità di scegliere una modalità agile anche cinque giorni la settimana», conferma Marco Podini, presidente esecutivo di Deda Group. Il ceo di Engie Eps, Carlalberto Guglielminotti dice esplicitamente che il gruppo non tornerà mai più come prima. «La nostra normalità continuerà a essere il FamilyWorking, divenuto un modello di lavoro permanente» e compatibilmente con le esigenze di business, «andare in ufficio continuerà a essere un diritto e non un dovere».

Tech e digitale. Una considerazione che mette tutti d’accordo riguarda la tecnologia. Che fosse un elemento centrale per lo sviluppo di un’azienda lo sostenevano già molti, ma lo smart working da un lato ha reso questa consapevolezza ancora più evidente e dall’altro ha costretto società e dipendenti ad aggiornare tecniche e organizzazione del lavoro. «La pandemia ha accelerato la trasformazione del nostro modo di lavorare, che ha subito una digitalizzazione ormai irreversibile» spiega il ceo di Engineering Paolo Pandozy, secondo cui le aziende «hanno dato vita a Digital Workplace in cui sono stati ridisegnati il tempo e lo spazio del lavoro». Alberto Calcagno, che guida Fastweb parla invece di «leadership tecnologica». Il Covid, sostiene il ceo della società «ha accelerato il passaggio dell’azienda da una dimensione fisica a una organizzazione digitale e in questo contesto la leadership tecnologica permetterà comunicazione continua, soluzioni di aggregazione, a volte anche molto creative, per far sentire le persone coinvolte e parte di un’azienda che è loro vicina». Venerdì 16 aprile proprio Fastweb ha annunciato proprio venerdì 16 aprile la proroga dell’accordo sperimentale di smart working fino al giugno 2022. Anche nei rapporti con clienti e fornitori «si continuerà a ritenere normale l’opzione del collegamento al posto della riunione fisica», conferma Federico Protto, ceo di Retelit, «con grande efficienza e risparmio di tempo e costi». Più in generale, aggiunge, «come operatore del settore, vediamo come l’attuale emergenza pandemica abbia in realtà accelerato processi di digitalizzazione che già erano già in atto». Il digitale «è lo strumento di connessione più utile, soprattutto in una condizione remota, per consentire alle attività lavorative di diventare il collante che ci aiuti a restare collegati, anzi immersi, nel ruolo professionale», condivide Gian Luca Orefice, direttore human capital di Autostrade per l’Italia.

Il mondo delle banche. Il mondo delle banche è uno di quelli che è stato spezzato in due dalla pandemia, con molti dipendenti di uffici che hanno usufruito dello smart working ma con le filiali che sono sempre rimaste aperte, considerate giustamente un servizio essenziale. « UniCredit è stata fra i primi grandi sostenitori del lavoro agile che ha implementato già dal 2014», ricorda Paolo Cornetta, responsabile human capital della banca. Attualmente, prosegue, «oltre il 70% della forza lavoro è abilitata ad operare da remoto». Banco Bpm dal canto suo «ha sempre mantenuto costante l’operatività e garantito la continuità dei livelli di servizio per la propria clientela», conferma il condirettore generale Salvatore Poloni. Secondo il manager «lo smart working continuerà a fare parte della nostra realtà. Occorrerà peraltro ricercare e salvaguardare un corretto equilibrio, in ottica di organizzazione sostenibile del lavoro, tra i legami e le relazioni profonde propri dell’attività in presenza». In Bper lo smart working emergenziale ha interessato circa 10 mila lavoratori, con un utilizzo medio giornaliero nelle direzioni centrali e semicentro fino al 50%, e del 30% nella rete», dettaglia il chief human resource officer Giuseppe Corni che spiega come la nuova normalità prevederà «fino a 10 giorni in modalità smart working». Una survey interna in Banca Ifis ha evidenziato gli aspetti positivi del lavoro da remoto che i dipendenti sperano di mantenere anche in futuro. «La vera sfida sarà trovare il giusto equilibrio tra il ruolo del digitale in un’organizzazione sempre più tecnologica e la centralità delle persone», commenta il dg Alberto Staccione. Di sicuro, come conferma anche Marco Russomando, head of human resources di Illimity, quello che aspetta le banche è «una sempre più nuova normalità» e per questo «nel dopo-Covid l’attività lavorativa in Illimity si svolgerà per metà del tempo in ufficio e per l’altra metà altrove, non necessariamente a casa». Di fatto «questa modalità di lavoro sarà sempre più presente nella nostra organizzazione del lavoro, con modalità e tassi di adesione sempre più ampi», si aspetta Luca De Santis, responsabile risorse umane di Eni. Cattolica Assicurazioni «sta studiando un modello di smart working decentrato, dando ai manager la possibilità di concordare con i colleghi quanti giorni fare in presenza con il punto fermo di almeno due giorni in smart», spiega Samuele Maroncini, vice dg e coo. Il gruppo FS invece «ha sottoscritto un accordo con le organizzazioni sindacali che, tra le altre cose, definisce, oltre al numero di giorni massimo mensile, anche il numero minimo mensile, pari a 6 giornate di lavoro da effettuarsi in smart working», riporta il ceo Gianfranco Battisti. La sfida adesso «è quella di trovare il giusto equilibrio integrando le dimensioni relazionali, di business, culturali e organizzative: vincerà chi troverà la sintesi perfetta», è convinto l’ad di Amplifon Enrico Vita, pensiero simile a quello del ceo di Iren Massimiliano Bianco, per cui «la nuova normalità dovrà affrontare la sfida di un equilibrio fra lavoro in presenza e lavoro da remoto» e condiviso da Ilaria Dalla Riva, direttore risorse umane di Vodafone secondo cui l’obiettivo del gruppo tlc «deve essere bilanciare queste due modalità, senza perdere di vista il tema dell’inclusività». Insomma, a casa, ma non troppo. Il lavoro agile «è uno strumento utile ed efficace a gestire emergenze di questo tipo», commenta il ceo di Astm, Umberto Tosoni, «ma è chiaro che non può e non deve sostituirsi totalmente alla modalità più classica di lavoro in presenza». (riproduzione riservata)

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