RC
Autore: Alessandro Calzavara
ASSINEWS 319 – maggio 2020
La responsabilità dell’impresa preponente per fatto illecito di un subagente è stato argomento di un precedente articolo su questa Rivista a commento di una sentenza del Tribunale di Padova. In particolare si era affrontato il tema del nesso di occasionalità necessaria tra condotta illecita dei collaboratori (agenti subagenti, collaboratori in genere) e soggetti responsabili del danno subito dai terzi ove si verta in tema di “appropriazione indebita” di premi versati dai clienti, ma soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di vendita di polizze “fantasma” (vita, nella maggior parte dei casi) accompagnata dalla creazione di portafogli “paralleli” e di contabilità “occulte”.
Si prospettavano diverse situazioni e conclusioni:
• l’impresa non ha un effettivo controllo dell’agente in caso di portafoglio “parallelo” e quindi non risponde del suo operato
• per la medesima ragione l’impresa non risponde mai dell’operato del subagente perché il subagente non fa parte della sua struttura organizzativa, ma di quella di un diverso imprenditore e cioè dell’agente
• l’impresa quindi non risponde nemmeno nel caso di appropriazione da parte del subagente
• l’agente risponde sempre dell’operato del subagente ex artt. 1228 e 2049 c.c..
Si introducevano anche alcuni interrogativi quanto alle conclusioni in termini di responsabilità: in particolare se in presenza di determinate condizioni l’impresa debba rispondere non solo del fatto dell’agente che abbia creato un portafoglio “parallelo”, ma anche dell’operato del subagente che si sia appropriato di somme o abbia venduto polizze “fantasma”. Alcune recenti sentenze della Suprema Corte sembrano dare alcune risposte. Infatti, in una sentenza del 2018 la Cassazione, chiamata a pronunciarsi su di un caso che vedeva l’appropriazione da parte di un subagente di parte di premi versati da un assicurato su una polizza vita regolarmente emessa, non si addentra in problematiche attinenti il “nesso di occasionalità necessaria”, l’“imprenditorialità” o la struttura “organizzativa” dell’impresa o dell’agenzia, ma afferma che, alla stregua dell’art. 118 del codice delle assicurazioni, nel testo di cui al d. lgs, n.209/20055, l’impresa risponde nei confronti dell’assicurato in caso di appropriazione da parte del subagente di premi relativi a polizze validamente emesse.
L’affermazione non è – come si legge nella motivazione – conseguente all’accertamento dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 2049 c.c., “giacché non si poneva un problema di responsabilità (dell’assicuratore per il fatto altrui), ma un problema di imputabilità del pagamento: problema, come s’è detto, direttamente risolto dalla legge con la previsione di cui all’art.118 cod. ass..
Il che rende, altresì, non pertinenti rispetto al caso di specie le ulteriori deduzioni svolte dalla società ricorrente … circa l’autonomia del rapporto di subagenzia rispetto al rapporto di intermediazione assicurativa”. La conclusione è quindi “innovativa”, ma perché le tradizionali argomentazioni contrarie vengono superate attraverso un percorso giuridico interpretativo che prescinde appunto dal problema della responsabilità dell’assicuratore per fatto del subagente. Più articolata in punto responsabilità la posizione espressa dalla Suprema Corte con una successiva pronuncia, che aveva come “protagonista” sempre un subagente, che però aveva venduto polizze “fantasma”.
Una tale fattispecie è quella che presenta una serie di problematiche più complesse, come ci insegna la giurisprudenza in materia, involgendo appunto il nesso di occasionalità necessaria, la committenza, l’apparenza del diritto, la riferibilità del soggetto autore dell’illecito all’organizzazione dell’impresa piuttosto che a quella dell’agenzia (che secondo l’orientamento giurisprudenziale tradizionale sono contraddistinti da una tendenziale autonomia), ecc..
La sentenza dà alcune risposte agli interrogativi posti all’inizio affermando nella sintesi conclusiva della motivazione che “nella prospettiva di tutela del cliente, assume rilievo la verifica in fatto dell’inserimento del sub-agente nell’apparato organizzativo dell’Assicuratore, nonché la sua eventuale abilitazione pubblica e risalente a stipulare contratti relativi a prodotti assicurativi riferibili, tout court, alla preponente. Sotto tale profilo è certamente rilevante l’eventuale utilizzazione degli identificativi della preponente (attraverso l’uso di locali, insegne, carta intestata, rilascio di quietanze riferibili alla stessa compagnia, inserimento della denominazione nell’elenco telefonico, ecc.)”.
I passaggi della motivazione così brevemente riportati sembrano effettivamente confermare che nella valutazione dei profili di responsabilità dell’agente e dell’impresa per fatti illeciti dei collaboratori (segnatamente dei subagenti) assumono forte rilevanza situazioni e rapporti nonché strutture organizzative e rappresentazioni al mercato che caratterizzano la complessa realtà della distribuzione assicurativa e che possono quindi portare a conclusioni articolate e differenziate, superando dogmatiche distinzioni non sempre aderenti alle singole fattispecie concrete.