Le tutele e le giustificazioni invocabili, in attesa di uno scudo per i professionisti sanitari
Esente da colpa il medico che applica le linee guida Iss
Pagina a cura di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti

Responsabilità penale medica nel periodo dell’emergenza da Covid-19: per andare esente da colpa, l’esercente la professione sanitaria, nella cura del paziente affetto da coronavirus, deve applicare puntualmente le linee guida pubblicate dall’Istituto superiore della sanità.
Tuttavia, l’oggettiva difficoltà degli operatori nell’approcciarsi ai primi giorni di emergenza, nonché, ancora oggi, la carenza di strumenti adeguati a cui il nostro sistema nazionale sta cercando di far fronte, suggerisce una norma che li protegga dal rischio di procedimenti penali. E se nel contesto di un acceso dibattito politico vi è chi propone uno scudo procedimentale che limiti alle ipotesi dolose la responsabilità del sanitario durante l’emergenza o per gli eventi originati dalla stessa, e c’è chi manterrebbe la responsabilità colposa ma circoscrivendola ai casi di colpa macroscopica, la tutela va attualmente ricercata negli istituti generali del nostro ordinamento, quali la scriminante dello stato di necessità.

Medicina difensiva e riforma. Il tema della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria, che riemerge in questo contesto emergenziale in tutta la sua complessità e delicatezza, è stato oggetto negli ultimi anni di plurime modifiche. Le rimodulazioni della disciplina sanzionatoria derivano dall’esigenza di ridurre l’esposizione del medico al rischio penale, a propria volta alla base di quella perturbazione della pratica sanitaria nota come medicina difensiva: il timore di denunce automatiche, al verificarsi di un evento lesivo o mortale, può indurre ad assecondare le pressioni dei familiari e l’aspettativa del malato stesso, attraverso l’impiego di pratiche diagnostiche superflue, o, in negativo, la rinuncia a eseguire interventi o a seguire pazienti ritenuti troppo problematici.
Calata nello scenario attuale, il non accordare al sanitario una limitazione di responsabilità alla luce delle circostanze in cui si è trovato a dover operare, potrebbe indurre il personale a un atteggiamento autodifensivo, rappresentato dal rifiuto di operare in condizioni non ottimali o di trascorrere più tempo a documentare le circostanze di fatto anziché a curare i pazienti.

La disciplina della responsabilità penale del sanitario. Ripercorrendo dunque i capisaldi della disciplina della responsabilità medica penale nel nostro ordinamento, la legge 8 marzo 2017, n. 24, cosiddetta legge Gelli Bianco, ha introdotto all’art. 590-sexies del codice penale una fattispecie di reato, che sotto la rubrica «Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario» estende anche ai fatti occorsi nell’esercizio della professione medica le pene previste per lesioni e omicidio colposo, precisando tuttavia che «qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».
I chiarimenti della Cassazione. Nel precisare il perimetro applicativo, la Cassazione a sezioni unite ha chiarito come l’esercente risponde per colpa anche lieve, oltre che per negligenza o imprudenza, quando il caso concreto non è regolato da linee guida o da buone pratiche clinico-assistenziali, o ancora nel caso di imperizia nella individuazione e nella scelta delle stesse; mentre risponde per colpa grave qualora l’imperizia sia da individuarsi nell’esecuzione delle linee guida e best practices pur di per sé adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico (Cass. Pen., Sez. Unite, 22 febbraio 2018, n. 8770).
In altre parole, ferma la responsabilità per le ipotesi di negligenza e imprudenza, si prevede una causa di esclusione della punibilità per gli operatori sanitari in presenza delle seguenti condizioni: da un lato, la morte o la lesione si siano verificati a causa di imperizia, da intendersi come l’inosservanza delle leges artis, per ignoranza della loro esistenza, inattitudine ad applicarle o semplice inapplicabilità concreta (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 24384 del 2018); dall’altro, siano state rispettate le raccomandazioni contenute nelle linee guida o le best pratices, purché adeguate al caso di specie.

Rispetto delle linee guida e stato di necessità. Precisato quanto sopra, va rilevato che le operazioni per la gestione dell’emergenza sanitaria oggi in corso relativa al Covid-19 sono regolate dalle linee guida pubblicate dall’Istituto superiore della sanità. Sarà quindi a quelle specifiche disposizioni che il medico dovrà rifarsi per la cura del paziente affetto da coronavirus, così che, se individuerà correttamente le linee guida e provvederà alla loro puntuale applicazione, dovrebbe andare esente da colpa.
Tuttavia, anche in questo caso la condotta concreta risentirà della carenza degli strumenti adeguati a cui a tuttora il nostro sistema nazionale sta cercando di far fronte: è un dato oggettivo che mancano gli strumenti necessari e sufficienti perché i medici possano rispondere adeguatamente all’attuale emergenza, quali, per esempio, la mancanza di posti letto o di cure per tutti i pazienti.
Certo, il personale medico, nel valutare chi seguire prioritariamente, dovrà rispettare le linee guida, ma è altrettanto indubbio che permane per il sanitario il rischio di subire una denuncia da coloro che non godranno delle cure necessarie di cui poc’anzi.
In questo contesto, si ritiene che potrebbe essere ravvisata la sussistenza della causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., il quale prevede che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».

Le proposte di uno scudo. Ciò detto, proprio la consapevolezza del contesto di emergenza in cui attualmente gli operatori sanitari stanno lavorando ha portato a proporre una norma a loro tutela.
I principali orientamenti, talvolta contrapposti, spaziano tra uno scudo procedimentale che limiti la responsabilità del sanitario nel periodo dell’emergenza e per gli eventi a esso ricollegabili alle ipotesi dolose, al restringimento della responsabilità ai casi di colpa macroscopica.
E se la prima proposta è stata criticata da chi osserva che alle vittime si lascerebbe la sola tutela in sede civile, quantomeno una disposizione del tenore della seconda appare necessaria per quegli operatori sanitari non specializzati in malattie infettive che, per la contingenza, sono stati spostati in reparti Covid-19; le condotte di costoro potrebbero così essere considerate perseguibili solo laddove non abbiano nemmeno rispettato i principi ispiratori delle linee guida anti Covid-19.
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