Non bastano i superpoteri per far crescere i campioni nazionali. Servono anche le aggregazioni, perché il tessuto industriale italiano, benché se ne parli da almeno un decennio, resta troppo frammentato e poco diversificato sull’export per competere nei periodi di crisi, a partire dall’emergenza coronavirus. Lo rivela lo studio di Kpmg per L’Economia del Corriere della Sera, dal titolo «Covid-19, golden power e aggregazioni industriali: impatti sul mercato italiano». Nel turismo, nota Kpmg, in Italia sono ancora micro (cioè sotto i dieci dipendenti) il 92,6% delle aziende; nell’alimentare l’86,1%; nella moda l’81,6%; nelle costruzioni addirittura il 96,10%; nella grande distribuzione organizzata l’86,6%. E se nell’automotive si scende al 65,8%, nelle utility si risale al picco del 93,8%. Una situazione che non ci si può più permettere, emerge dallo studio di Kpmg, perché mai come ora i campioni nazionali vanno costruiti davvero.
Le novità
Da questo mese è in vigore il golden power allargato, lo strumento che consente al governo di proteggere le aziende strategiche ponendo un veto, se è il caso, a loro acquisizioni da parte di società straniere, salvaguardandone la governance e l’assetto proprietario. In teoria, potrebbe essere esteso ad aziende come Generali, Intesa e Unicredit (assicurazioni e finanza), Ima (packaging), Sia (reti interbancarie, fa già capo a Cassa depositi e prestiti chiamata la scorsa settimana a intervenire, in futuro, contro i takeover), Kedrion (biofarmaceutica, altra partecipata di Cdp), o rafforzare la presa italiana su joint venture delicate come quella italo-francese di StMicroelectronics (semiconduttori). Ma se le filiere strategiche sono a pezzettini, è chiaro che il golden power non basterà per sostenere molte aziende cruciali, che rischiano di diventare preda — soprattutto della Cina in ripresa, già terzo investitore straniero in Italia dopo Usa e Francia, nota Kpmg — viste le dimensioni e il calo dei valori d’impresa.
In Borsa fra il 25 febbraio, decreto di stretto contenimento della pandemia, e il 15 aprile le aziende italiane del settore tempo libero e viaggi hanno perso il 37% di capitalizzazione, l’oil&gas il 27%, l’automotive il 21%, le telecomunicazioni il 19%%. Hanno contenuto relativamente la perdita l’alimentare (-17%), l’edilizia (-16%) e la moda (-12%). Tim valeva 10,8 miliardi ed è scesa a 7,5, A2a è crollata da 5,4 miliardi a 3,8, Autogrill da due miliardi a 1,2, Fca da 17,2 a 11. «Il golden power può proteggere le imprese, ma non farle crescere— dice Giuseppe Latorre, partner di Kpmg — e ora può essere applicato a nuove aziende, ma ciò che serve sono le aggregazioni per reggere in un momento difficile come questo. Tra i settori da consolidare sono il biomedicale, l’alimentare e il turismo».
Le novità sul golden power sono nel Decreto Liquidità, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’8 aprile scorso, dove agli articoli 15, 16 e 17 («Disposizioni urgenti in materia di esercizio di poteri speciali nei settori di rilevanza strategica») si definisce il nuovo raggio d’azione, richiamandosi al Regolamento Ue 2019/452. Ora lo scudo che già proteggeva quotate come Enel, Eni, Leonardo e Tim è esteso a nuovi settori: finanza e assicurazioni, innanzitutto. Qui, però, d’intesa con le autorità di settore, lascia intendere l’articolo 15: «Nel settore finanziario, creditizio e assicurativo le misure si applicano nella misura in cui la tutela degli interessi dello Stato non sia adeguatamente garantita da una specifica regolamentazione di settore». Poi sanità, acqua, biotecnologie, tecnologie sensibili come la robotica, i semiconduttori, la cybersicurezza, la sicurezza alimentare, i media.
Tutto o quasi, insomma. Un passo lungo dal 2012 quando, governo Monti, il golden power fu introdotto per proteggere dalle scalate ostili pochi settori: difesa e sicurezza, energia, trasporti, telecomunicazioni. Nel 2017 fu esteso a comparti ad alta intensità tecnologica come la sicurezza in Rete. Ora il nuovo allargamento si accompagna all’abbassamento della soglia oltre la quale l’acquirente deve comunicare l’acquisizione, che può scendere per decisione della Consob al 5% per includere le società a capitale diffuso. Finora il golden power è stato esercitato per perimetrare poche operazioni, autorizzate dal governo, ma a certe condizioni e con funzione deterrente: l’ingresso di Vivendi in Tim, General Electric in Avio, Mubadala in Piaggio Aerospace. Il veto è scattato nel 2017 su Next (informatica): il governo Gentiloni ne bocciò la vendita alla francese Altran. Sarà usato con più frequenza, ora? Forse, di certo non è un fenomeno soltanto italiano.
Noi e gli altri
La maggiore difesa delle frontiere industriali per il coronavirus è scattata nei giorni scorsi anche in Spagna, Francia e Germania che hanno misure simili all’Italia. Madrid può intervenire sulle acquisizioni sopra il 10%, Parigi ha ampliato il raggio d’azione e Berlino ha blindato telecomunicazioni, infrastrutture e utility. Polonia, Austria e Finlandia valutano se muoversi sulla stessa linea. Ma basta guardare agli attori di ogni settore per capire il freno dimensionale in Italia.
Nel turismo, che incide per il 3,7% sul Pil, tolta per omogeneità Autogrill (in tabella per il criterio dei codici Ateco), l’impresa più grande è Alpitour con 1,6 miliardi di ricavi e 3.800 dipendenti, seguono Uvet, Starhotels e Una che insieme non arrivano al miliardo. «In Spagna e Francia i competitor sono dieci volte tanto, per non parlare degli Usa», nota Latorre. Nella grande distribuzione, dove domina Esselunga, le imprese sono tutte domestiche e la moda «non è riuscita a costruire un campione nazionale». C’è una sola vera eccezione, è nell’alimentare: la Ferrero, modello universale per espansione all’estero e solidità. Ma chissà se avrà mai bisogno del golden power.
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