Il punto di mauro masi*
È acceso il dibattito nel nostro Paese sulla possibilità di utilizzare nella fase post-lockdown un app di tracciamento come è stato fatto, con successo, da altre nazioni. Al di là delle problematiche giuridiche relative alla procedura di attuazione (serve una legge e non una semplice ordinanza, ha sottolineato Sabino Cassese) le questioni più spinose attengono al merito e si ricollegano al grande tema della tutela della privacy.
Per decenni uno dei principali principi ispiratori delle leggi a tutela della privacy è stato lasciare il controllo ai singoli individui consentendo loro di decidere se, come e da parte di chi potevano essere processate le proprie informazioni personali. Nella prima fase dell’era di internet questo encomiabile ideale si è trasformato nel meccanismo burocratico del «consenso informato». Nell’era dei social e dei Big data il consenso informato non regge più sia per l’enormità degli individui coinvolti (quasi 3 miliardi e mezzo connessi alla Rete e circa un miliardo e 200 milioni solo attraverso Facebook) sia perché il grosso del valore dei dati raccolti dalle piattaforme sta in utilizzi secondari che, spesso, non si potevano nemmeno immaginare al momento della raccolta dati. E’ quindi chiaro che, in questo scenario, la tutela della privacy si deve necessariamente spostare sempre più dal consenso individuale espresso nel momento della raccolta alla responsabilizzazione degli utilizzatori dei dati per quello che fanno. E che, deve essere ben chiaro, hanno sempre saputo quello che facevano. Al riguardo, voglio ricordare le parole pronunciate qualche anno fa (nel giugno 2015, quando il tema del furto dei dati via social non era nemmeno alle viste) da Tim Cook, già allora ceo di Apple, per mettere in guardia i propri clienti, ma in realtà tutti i navigatori del Web, sui rischi crescenti per la loro privacy. Cook, senza fare alcun nome specifico, ebbe a dire con molta chiarezza: «Attenzione, alcune delle società più importanti e di successo hanno costruito il loro business cullando i clienti con false rassicurazioni sulle informazioni personali e… un giorno o l’altro i clienti le vedranno per quello che sono realmente. Sarà un impatto molto duro». (riproduzione riservata)
*delegato italiano alla Proprietà Intellettuale
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