NOTIZIA SPONSORIZZATA

Chi mi conosce bene, conosce anche la mia profonda ammirazione verso Bill Gates, ammirazione solo in parte bilanciata dalla mia diffidenza verso i prodotti Microsoft (una diffidenza diventata probabilmente irreversibile dopo l’avvento di Google).

In ogni caso, in un mondo fantastico e simbolico, la foto di “zio Bill” è sicuramente presente sul comodino della mia camera da letto. Le ragioni della mia ammirazione sono molteplici.
In parte storiche, essendomi formato sul M-Basic (uno straordinario linguaggio di programmazione ideato da Bill Gates), e in parte professionali, avendo avuto la fortuna e il privilegio di assistere da molto vicino alla nascita di Microsoft Italia agli inizi degli anni ‘80.

La mia ammirazione ha anche ragioni di natura personale, per una sorta di condivisione di valori sul modo di vedere il mondo, il lavoro e la famiglia (insieme alla moglie Melinda formano da molti anni una coppia davvero formidabile).
Ma la mia ammirazione verso Bill Gates ha, ovviamente, ragioni principalmente cognitive. Ritengo infatti sia una delle persone maggiormente dotate presenti attualmente sul nostro pianeta e, come tutte le persone molto dotate, è stato spesso in grado di prevedere con una certa affidabilità cosa accade nel futuro prossimo.

Il 3 aprile 2015, durante un suo intervento ad un seminario TED destinato probabilmente a rimanere nella storia, Bill Gates esprimeva in modo nitido il pericolo imminente di una pandemia che avrebbe potuto causare la morte di milioni di persone. Nei circa dieci minuti a disposizione (tempo standard di un qualsiasi TED talk), Bill Gates sosteneva che il maggior pericolo per l’umanità non era dovuto ad una possibile guerra nucleare ma all’avvento di un virus.
E esortava i governi a prepararsi a tale eventualità (per chi fosse interessato all’intervento completo, sottotitolato in italiano, questo è il link https://www. youtube.com/watch?v=6Af6b_wyiwI).

Tutto il resto è storia di questi giorni. La maggior parte dei governi non era evidentemente preparata al coronavirus e il mondo ha reagito in ordine sparso, senza l’apparenza di regole precise. Quella che si è rivelata abbastanza preparata è stata, viceversa, la tecnologia. Proviamo ad immaginare il coronavirus senza smart working, senza cloud e senza videochiamate.

Quanti contagiati in più (e quindi quanti morti) ci sarebbero stati? Quanti danni economici in più (e quindi quante aziende fallite) ci sarebbero stati? Se in qualche modo ce la faremo, in attesa che arrivi la cura definitiva, sarà solo grazie alla forza delle persone impegnate in prima linea per combattere il virus e al comportamento delle aziende che, quando possibile, sono riuscite a convertire in smart working il proprio modo di lavorare.

Non tralascerei inoltre il fatto che parte della tecnologia sottostante allo smart working può essere utilizzata non solo per il working ma anche per continuare a mantenerci in contatto con amici e parenti in modo smart, rispettando le indispensabili regole di comportamento, base imprescindibile per cercare di contenere i danni e sperare di farcela.
Che la buona tecnologia sia con voi.

Gabriele Rossi, C.E.O. Diagramma