Negli anni Settanta c’erano 22 pensionati ogni 100 abitanti. Adesso ce ne sono 32
di Massimo Blasoni* *Imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro

Il sistema pensionistico italiano non è afflitto solamente dall’enorme quantità di debito implicito, cioè dal peso dei trattamenti che dovranno essere pagati ai pensionati di domani, così come dall’elevato impatto sul reddito nazionale: la nostra spesa pensionistica su pil è una delle più rilevanti d’Europa ed è anche poco efficiente. Infatti, è evidente che l’attuale sistema pubblico a ripartizione non garantisce un adeguato apprezzamento dei contributi versati, diversamente dai sistemi a capitalizzazione individuale. Oggi versiamo, sostanzialmente senza alcun rendimento, contributi all’Inps che servono a pagare gli assegni di chi è in quiescenza oltre alle prestazioni assistenziali: cassa integrazione, indennità di malattia o invalidità.
Per fare un esempio, focalizziamo l’attenzione solo sulla quantità di contributi che serve a pagare le nostre pensioni. Ipotizziamo che questa componente sia pari a 10mila euro annui versati per trent’anni e sia da noi investita con un rendimento del 3%. Accumuleremmo un montante di 490 mila euro, cioè il 40% in più di quello che oggi obbligatoriamente accantoniamo con l’Inps che riconosce modestissime rivalutazioni. In altre parole sarebbe possibile andare in pensione con le attuali soglie d’età ma con un assegno più ricco del 40%, ovvero anticipare di molto la pensione con un assegno almeno pari a quello che avremmo comunque ottenuto.

È evidente che il passaggio dal sistema a ripartizione pubblico a quello a capitalizzazione privato è estremamente complesso e non potrebbe essere repentino. Mutare modello non sarebbe impossibile però, soprattutto se l’attuazione avvenisse per gradi con un mix iniziale tra l’attuale previdenza obbligatoria e quella integrativa. Il tema va affrontato anche perché la spesa pensionistica italiana continua a salire. Secondo l’Istat a metà anni Settanta era inferiore al 9% del pil e i pensionati erano 22 ogni 100 abitanti. Oggi supera il 16% del pil ed è quasi raddoppiato il rapporto: ogni 100 abitanti ci sono 38 pensionati. Secondo l’Ocse spendiamo il 31,9% della spesa pubblica in previdenza, contro una media del 18,1%.
L’Inps registra ogni anno un passivo ed è ciclico l’azzeramento del suo patrimonio e la conseguente ricapitalizzazione con i nostri denari. Il nostro sistema pensionistico toglie ingiustamente agli individui la libertà di organizzare la propria vita. Perché deve essere l’Inps a gestire obbligatoriamente i miei versamenti contributivi? Una domanda che potrebbe essere confutata sul piano ideologico. Tuttavia la realtà purtroppo dimostra che il modello italiano rischia di crollare sotto il peso della sua insostenibilità.
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