Impossibile, nel panorama delineato, trascurare quanto disposto dal dlgs 231/2001, in tema di responsabilità amministrativa degli enti (tutti, salvo qualche piccola eccezione) derivante da reato commesso da una figura apicale o da un sottoposto … addirittura sussistente se questi ultimi non siano individuabili, ovvero non imputabili.
Ebbene, la tutela dell’ente muove dall’imprescindibile adozione del modello organizzativo, dalla sua effettiva attuazione e dalla capacita di quest’ultimo di essere idoneo a prevenire i reati presupposto. Difatti, questo non sarà ritenuto responsabile se, prima della commissione di un reato da parte di una figura apicale o ad esso funzionalmente collegato, aveva adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire i reati. E proprio all’organo gestorio è demandato tale onere, giacché, la lettera a), art. 6 decreto in esame, precisa come l’organo dirigente debba adottare ed efficacemente attuare modelli di organizzazione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Tuttavia, potrebbe accadere (e ciò non di rado) che il modello non sia stato adottato, ovvero che non risulti adeguato, in quanto solo formalmente applicato o palesemente inefficace a prevenire i reati presupposto. In questi casi, cosa accade agli amministratori?

L’amministratore non potrà mai essere affrancato da eventuali profili di responsabilità civile, poiché nell’alveo dell’art. 2380-bis, c.c., e quindi nella sua amministrazione, ricade indubbiamente l’adozione del Mog. Pertanto, è possibile affermare che la mancata adozione rappresenti una «colpa di organizzazione», in quanto gli amministratori non si sono attivati per prevenire la commissione dei reati commessi nell’interesse ed a vantaggio della società (art. 2392 c.c.).
E si badi bene che tale responsabilità (estendibile financo alla denuncia al tribunale) potrà colpire tanto gli amministratori delegati, quanto quelli deleganti; questi ultimi rei di non essersi attivati.
Ciò in quanto, non v’e dubbio che l’adozione del modello disegnato e voluto dal dlgs 231/2001, benché non obbligatorio, ricada all’interno dell’adeguato assetto organizzativo. La giurisprudenza, nello specifico, non pare fare sconti a nessuno (sul punto si vedano: Tribunale di Milano, sentenza n. 1774 del 13 febbraio 2008, VIII sez. civile e Tribunale di Roma, con sentenza del 15 dicembre 2017).
Alla luce di quanto sopra affermato, emerge con dirompente chiarezza l’obbligo per l’amministratore di creare un adeguato assetto organizzativo tanto ai fini codicistici, quanto alla luce del «Ccii», aggiungendosi anche il dlgs 231/2001.

A mente di ciò, i profili di sovrapposizione tra quanto disposto dal nuovo secondo comma dell’art. 2086, c.c. e dal decreto in esame, appaiono evidenti. Difatti, entrambi sono sia canalizzati verso la prevenzione del rischio, da un lato per la commissione del reato presupposto, e dall’altro per l’emersione della crisi; sia riguardanti lo stesso soggetto, enti in generale da un lato e imprenditori operanti in forma societaria o collettiva dall’altro.
È lecito, quindi, inferire sul concreto atteggiarsi di un panorama sanzionatorio catastrofico, ossia sulla possibilità che gli amministratori inadempimenti al dettato di cui al comma 2, art. 2086, c.c., a cui s’affianchi anche la mancata adozione e attuazione del Mog concretamente idoneo a prevenire i reati presupposto, rischino di vedersi proporre azioni di responsabilità dagli esiti devastanti.
Sebbene possa apparire semplicistico, per affrancarsi dal panorama funesto sopra descritto, occorrerà istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alla dimensione dell’impresa, che contempli il controllo della finanza, permettendo di far rilevare tempestivamente l’emersione della crisi e della perdita di continuità aziendale e che, altresì, s’affianchi all’adozione ed all’attuazione del modello organizzativo.

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