La legge n. 26/2019 ha eliminato il vincolo di 45 anni d’età per presentare domanda

Riscatto soft della laurea per tutti. Infatti, la legge n. 26/2019 di conversione del dl n. 4/2019, pubblicata sulla G.U. n. 75/2019, ha eliminato il vincolo di 45 anni d’età per poter presentare la domanda di riscatto soft della laurea (che, dunque, può ora essere presentata da chiunque). La conversione in legge del dl n. 4/2019, inoltre, ha raddoppiato da 60 a 120 il numero delle rate possibili per la dilazione del pagamento degli oneri del ricatto dei buchi contributi (c.d. «pace contributiva»).
Il riscatto soft della laurea. La nuova facoltà di riscatto è inserita nel corpo normativo che disciplina il riscatto della laurea (art. 2, dlgs n. 184/1997), quale ulteriore ipotesi a disposizione, però, unicamente «dei periodi da valutare con il sistema contributivo».

In seguito alla conversione in legge del dl n. 4/2019, la nuova facoltà è praticabile anche dopo il compimento dei 45 anni d’età, poiché tale vincolo è stato eliminato.
A renderla «soft» è il costo: agevolato, perché calcolato sul minimo imponibile annuo dei commercianti Inps, pari a 15.878 euro nel 2019, e non sulla retribuzione o sui compensi.
Nella circolare n. 36/2019 l’Inps ha precisato che la nuova facoltà di calcolo dell’onere (che è la vera novità) si aggiunge a quelle già previste e, di conseguenza, è all’interno di tale ventaglio di criteri di calcolo che il richiedente può scegliere liberamente il suo. Tale opportunità, tuttavia, è riservata esclusivamente alle domande presentate a partire dal 29 gennaio 2019 (entrata in vigore del dl n. 4/2019); in ogni caso, la rideterminazione del costo di riscatto non è possibile se il riscatto determinato in base a una qualsiasi modalità sia stato già interamente versato (si veda tabella).
Un nuovo riscatto per i buchi contributivi. La misura è destinata ad agevolare i soggetti più giovani, quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, con carriere discontinue, essendo riservata esclusivamente ai soggetti in regime contributivo, soggetti cioè che non hanno contributi versati entro il 31 dicembre 1995 (cosa che li renderebbe appartenenti al regime misto). Una condizione fondamentale, tanto che, nel caso successivamente al riscatto dovesse verificarsi l’acquisizione di contributi collocati prima del 1° gennaio 1996, ciò comporterà l’annullamento d’ufficio del riscatto con la conseguente restituzione dei contributi versati.
Il riscatto è nuovo e relativo ai «buchi contributivi», di periodi, cioè, non lavorati che si trovano frammezzo a periodi lavorati e, quindi, già coperti da contributi. I periodi riscattabili sono quelli compresi tra la data di prima iscrizione alla previdenza (che per quanto detto deve essere necessariamente successiva al 31 dicembre 1995) e l’ultimo contributo pagato all’Inps; di questi periodi, il lavoratore ha facoltà di scegliere quali e quanti riscattare, nel limite massimo di cinque anni, anche se non continuativi. I periodi, inoltre, devono essere precedenti al 29 gennaio 2019 (entrata in vigore del dl n. 4/2019).
La facoltà del riscatto è esercitata a domanda dell’interessato o anche dei suoi superstiti (in tal caso, evidentemente, al fine di maturare il minimo per una pensione di reversibilità) o dei suoi parenti e affini fino al secondo grado o del suo datore di lavoro.
Nel modulo pubblicato sul sito Inps, la persona che presenta la domanda è il «richiedente», mentre la persona per la quale è chiesto il riscatto è il «beneficiario».
Quest’ultimo deve espressamente acconsentire che il richiedente possa fare la domanda di riscatto accollandosene il relativo onere. Onere per il cui calcolo si utilizzano gli stessi criteri del riscatto della laurea (art. 2, comma 5 del dlgs n. 184/1997), ossia applicando l’aliquota contributiva vigente nella gestione presso la quale è stata fatta domanda di riscatto a una retribuzione/reddito pari a quella/quello meno remota rispetto alla data di domanda. L’onere del riscatto può essere sostenuto anche dal datore di lavoro, attingendo ai premi di produzione spettanti al lavoratore.
La nuova facoltà di riscatto è assistita da due agevolazioni. La prima è di natura fiscale: rende l’onere del riscatto detraibile dall’imposta lorda in misura del 50% con ripartizione in cinque quote annuali di pari importo.

La seconda è la forma di pagamento: unica soluzione o rateale, in massimo 120 rate mensili di pari importo, non inferiori a 30 euro, senza interessi. Se è il datore di lavoro a fare il riscatto non si applicano le agevolazioni, ma i costi sono deducibili sia dal reddito d’impresa o lavoro autonomo del datore di lavoro, sia dal reddito del dipendente beneficiario.
Pace contributiva come sanatoria? La «pace contributiva» non può essere utilizzata per i periodi soggetti a obbligo contributivo, per i periodi cioè durante i quali c’è stato lavoro ma non versamento di contributi, anche se prescritti.
In altre parole, non può essere utilizzata come fosse una «sanatoria» per rimediare a omessi versamenti di contributi relativi a periodi di occupazione.
La tentazione a farne quest’utilizzo può esserci, ad esempio, nei casi di contenzioso in atto (o solo potenziale) tra un datore di lavoro e un lavoratore, perché quest’ultimo è stato occupato irregolarmente dal primo, cioè in nero.
In questi casi, il datore di lavoro può proporre al lavoratore di chiudere la questione, anziché in tribunale, con una stretta di mano e la promessa di versargli i contributi relativi al periodo di occupazione in nero mediante, appunto, la «pace contributiva» (che gli garantisce uno sconto su sanzioni e rivalutazione di contributi omessi) oltre alla liquidazione delle spettanze retributive.
Del resto, la cosa sarebbe anche facilmente attuabile, perché la normativa prevede che anche il datore di lavoro possa fare domanda di riscatto a favore di un proprio dipendente accollandosi in tal caso l’onere di pagare i contributi dovuti.
Intuendo la maliziosa possibilità, l’Inps ha messo le mani avanti e nella circolare n. 36/2019 ha avvertito: «sono riscattabili solo i periodi non soggetti a obbligo contributivo», cosa che non sono i periodi di occupazione in nero accertati da un giudice. Tale preclusione, ha precisato l’Inps, «opera necessariamente e logicamente anche nei casi in cui l’obbligo contributivo si sia già prescritto». Pertanto, per recuperare questi periodi si può fare ricorso ai tradizionali istituti, quali la regolarizzazione contributiva ovvero, quando c’è prescrizione dei contributi, la costituzione di rendita vitalizia (cioè il versamento di una somma all’Inps, con cui l’istituto riconoscerà una «rendita», cioè una quota aggiun

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