L’assemblea che domani a Torino, nel grattacielo di corso Inghilterra, riunirà i soci di Intesa Sanpaolo, racchiude in sé una doppia e contrastante immagine. Sarà al contempo di discontinuità e di continuità.
La discontinuità più evidente è quella legata alla figura di Giuseppe Guzzetti. L’avvocato lariano fino al 27 maggio sarà presidente di Fondazione Cariplo, seconda azionista del gruppo bancario e il suo passo indietro, ampiamente preparato, segna un momento di discontinuità per l’intero gruppo bancario, per i suoi soci e, in generale, per tutti gli stakeholder, come si è recentemente ben inteso al teatro alla Scala di Milano quando pubblicamente Guzzetti ha voluto salutare molti compagni di viaggio lasciando indicazioni ben precise sulla rotta da tenere. In Fondazione Cariplo, nelle fondazioni di origine bancaria di cui Guzzetti presiede l’associazione e indirettamente anche in Intesa.

Ad acuire il senso di discontinuità è il fatto che con Guzzetti lascia il secondo «padre fondatore» di Intesa Sanpaolo. Dopo che il presidente dell’istituto, Giovanni Bazoli, ha già fatto un passo indietro, l’uscita di Guzzetti porrà fine a un’epoca. Ma soprattutto sottrarrà alla banca due preziosi punti di riferimento.
Oltre confine
Da tempo in Intesa si è pensato al futuro e la fondazione Cariplo ha avviato da poco meno di un anno un elaborato processo di democrazia decisionale per arrivare il 26 maggio a definire il successore di Guzzetti. Ma tutto questo non cambierà la sostanza. Il consiglio di Intesa che i soci eleggeranno domani dovrà programmare un futuro diverso, una navigazione lontana dalle due boe che hanno indicato la rotta dal 1984 a oggi. Le professionalità non mancano. Ed è qui che emerge la seconda contrastante immagine dell’assemblea di domani: numeri alla mano, si può già anticipare che il nuovo consiglio di amministrazione di Intesa Sanpaolo sarà guidato dai vertici uscenti, l’amministratore delegato Carlo Messina e il presidente Gian Maria Gros-Pietro. Ed è questa una delle garanzie fattuali più importanti sul futuro prossimo del gruppo bancario.
I 4.050 milioni di euro di utile netto realizzati nel 2018, in linea con l’anno precedente, sono il miglior biglietto da visita possibile per il tandem uscente. Soprattutto, Messina ha saputo far girare la macchina in un periodo di difficoltà del quadro macro economico e di profonde incertezze domestiche, sia sul fronte della politica economica che della filosofia fiscale. Ha salutato fidati comandanti di battaglie passate e ha rinnovato la squadra trovando all’interno del gruppo gli uomini che dovranno realizzare il piano industriale in essere (2018-2021), assicurando per il tramite del presidente Gros-Pietro, che il flusso di dividendi necessario al funzionamento delle fondazioni stesse, che assieme superano il 16,5 per cento del capitale della banca, è sostenibile nel tempo, anche in un momento di profonda discontinuità dell’industria bancaria. I quattro miliardi di utile netto da cui riparte il nuovo consiglio di Intesa rappresentano un eccellente boost alle attività del gruppo, che in Italia sta capitalizzando una posizione importante sul fronte sia della banca retail che della gestione del risparmio, come nell’interazione con i clienti corporate. Il business, dopo il rilancio delle attività legate al mondo dell’assicurazione, potrebbe trovare nei prossimi mesi un approdo continentale sul fronte della gestione dei risparmi. Il settore è in grande effervescenza, come dimostra il recente colpo francese di Mediobanca nel settore dell’investment banking e le trattative tra la tedesca Dws del gruppo Deutsche Bank e la Svizzera Ubs, che potrebbero far vita a un asset manager da 1,5 trilioni di euro di masse in gestione. Troverà Intesa il partner giusto per alimentare le sue giustificate ambiziosi di crescita al di fuori dei confini nazionali? Il momento non potrebbe essere più propizio, tanto più che il first mover godrebbe di un considerevole vantaggio.
In riva all’Arno
Tornando in Italia, oggi a Firenze si riunisce il consiglio di indirizzo dell’Ente CariFirenze, azionista di Intesa Sanpaolo con il 2 per cento del capitale. All’ordine del giorno la decisione su quanti saranno i membri del nuovo consiglio di amministrazione. Oggi sono otto, il minimo statutario è 7, il massimo è 12. Degli otto attuali, tre sono in scadenza. Se il nuovo consiglio, come si sussurra, verrà allargato a 12 componenti, saranno sette le poltrone da assegnare. La procedura è particolarmente elaborata e si concluderà a giugno.
Il Consiglio di indirizzo (22 membri; 11 eletti dall’assemblea, 11 indicati da enti e istituzioni) dovrà trovare la giusta sintesi nel consiglio di amministrazione, perché il presidente Umberto Tombari non si ricandiderà, tornando alla professione di avvocato. Tre i candidati alla successione: il presidente degli industriali fiorentini Luigi Salvadori, l’ex presidente dell’Ente Jacopo Mazzei e l’ex presidente della Cassa di Risparmio di Firenze Giuseppe Morbidelli, esperto di diritto amministrativo e consulente dell’Acri e di diverse fondazioni nel momento in cui la politica nazionale pose gli occhi sui patrimoni delle ex casse di risparmio. I
n città sono già iniziate le grandi manovre perché, giglio più o meno magico che sia, fanno gola a molti i 30 milioni di erogazioni che l’ente annualmente distribuisce sul territorio e ancor di più i due miliardi di patrimonio che, secondo alcuni, potrebbe anche essere attaccato per gestire rapporti che, con Roma, si sono fatti più difficili dal tramonto del renzismo.
La politica locale, che statutariamente entra nel consiglio di indirizzo dell’Ente e che nel consiglio di amministrazione vede già la presenza di Marco Carrai, che fu uomo di fiducia dell’ex premier Renzi, dovrebbe essere tenuta il più lontano possibile dalle fondazioni, che sono chiamate a evitare le ingerenze politiche, come ha vivacemente sottolineato Guzzetti nel suo saluto alla Scala. Una necessità vitale per il rispetto dell’autonomia delle fondazioni e per la loro indipendenza. Ma a Firenze la partita è apertissima e non è detto che la voce di Guzzetti arrivi chiara in Riva all’Arno, dove le competenze accademiche talvolta si confondono con i blasoni di famiglia.

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