CASSAZIONE/ Una sentenza sulla collaborazione volontaria introdotta nel 2014
Se fa crescere il patrimonio può configurare il reato
di Angelo Carlo Colombo e Vincenzo Cristiano

Per la configurabilità del reato di autoriciclaggio, il provento del reato presupposto può consistere non soltanto in un incremento del patrimonio ma anche in un risparmio di imposte dovute in quanto, comunque, il patrimonio del contribuente ne riceve un vantaggio economicamente apprezzabile.
In tal senso, i reati di falso possono assumere le «vesti» di reato presupposto solo in quei casi in cui dal falso derivi, come immediato effetto, un provento di natura patrimoniale per il contribuente/agente, idoneo, successivamente, ad essere «riciclato». Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 14101 depositata ieri. In particolare, nella fattispecie esaminata, secondo i giudici, il fulcro della questione non consiste tanto nello stabilire cosa si debba intendere in diritto per «ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria», quanto se, in punto di fatto, una situazione formale costituita da un intreccio di società, direttamente controllate dal soggetto in causa, avesse consentito al medesimo l’utilizzo di uno schermo fittizio per commerciare in opere d’arte e, per l’effetto, quindi, evadere il fisco. Al riguardo, la Suprema Corte ricorda che la collaborazione volontaria, o voluntary disclosure, introdotta con la legge n. 186/2014, si configura quale procedura con la quale il contribuente, mediante il meccanismo dell’autodenuncia, dichiara all’Amministrazione finanziaria «attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato» non contemplate nella dichiarazione nella duplice veste del cd nero transfrontaliero ovvero nero domestico.
Dopo aver sintetizzato gli effetti dell’autodenuncia, la Suprema Corte chiarisce che nel caso in cui la dichiarazione sia infedele, l’Agenzia delle entrate esercita un potere per così dire «travolgente» (ex tunc) dei benefici mediante l’esercizio del proprio potere di accertamento, con l’effetto (di recupero) a valle.
Ma non solo.
I giudici della Suprema Corte, per la risoluzione della fattispecie in esame, chiariscono altresì che per la configurabilità del reato di autoriciclaggio è necessario che dal reato presupposto derivi «a cascata», come effetto diretto della condotta criminosa, un vantaggio patrimoniale, economicamente apprezzabile ed idoneo, quindi, a essere «riciclato» per evitare che sia riconducibile al reato presupposto. Detto in altri termini, se dal falso l’agente non consegue alcun provento o, se il falso è commesso come reato mezzo per compiere un altro reato dal quale derivi un provento, il reato di autoriciclaggio o, come nella prima ipotesi, non è configurabile, oppure, nella seconda ipotesi, è configurabile ma in relazione al reato di appropriazione indebita perché solo da questo consegue, in modo diretto, un provento «riciclabile».

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