Con l’incendio di Notre-Dame si è appreso, a sorpresa, che le cattedrali francesi non sono assicurate. Ma anche in Italia le coperture scarseggiano. Ed è senza rete l’immenso patrimonio dei Beni Culturali
di Anna Messia

Con il tragico incendio che martedì 16 ha colpito Notre-Dame a Parigi si è scoperto, a sorpresa, che i francesi non sono assicurati per coprire da eventuali danni un bene simbolo per la Francia come la cattedrale, principale luogo di culto per il Paese. A impedirlo una legge in base alla quale le cattedrali costruite in Francia prima del 1905 (ben 83 su 93) sono di proprietà dello Stato, che ha scelto di farsi carico di eventuali danni senza chiamare in causa il settore assicurativo. Fortunatamente a risolvere la questione dei fondi necessari per la ricostruzione della cattedrale ci ha pensato la solidarietà dei privati che hanno già promesso donazioni per oltre 700 milioni in una gara che ha visto competere i Paperoni di Francia, primi tra tutti i patron lusso, Francois-Henri Pinault (Kering , il primo ad annunciare nella notte un contributo da 100 milioni di euro, su cui rinuncerebbe anche ai relativi benefici fiscali) e Bernard Arnault, di Lvmh , che a breve distanza ha replicato con un assegno da 200 milioni. Qualora si accertasse la responsabilità delle ditte che stavano curando da circa un anno la ristrutturazione di Notre-Dame anche il gruppo francese Axa potrebbe essere chiamato in causa visto che la compagnia, come reso noto in un comunicato, ha assicurato contro la responsabilità civile due delle imprese coinvolte nei cantieri e copre anche alcuni manufatti e oggetti cerimoniali che erano presenti nella cattedrale al momento dell’incendio.

Se non sembrano quindi esserci problemi per reperire le risorse necessarie alla ricostruzione, che come promesso dal presidente Emmanuel Macron è prevista in cinque anni, il caso di Notre-Dame ha però avuto l’effetto di provocare dibattiti e riflessioni nel settore assicurativo, specie in Italia che – a parte la Rc Auto obbligatoria – ha tassi di penetrazione nell’assicurazione danni assai più bassi della Francia, pur avendo uno dei patrimoni artistici più ricchi al mondo. «Il caso Notre-Dame ha fatto scuola e ha sicuramente contributo ad alzare l’attenzione su questo tema», osserva Vittorio Scala, country manager per l’Italia dei Lloyd’s di Londra, spiegando che bisogna comunque essere consapevoli dei limiti di intervento del settore assicurativo in questo settore. A fargli eco è Simone Strummiello, director Fine Arts, Jewellery & Private Client Specialty di Aon in Italia: «Non basterebbero tutte le compagnie del mondo per assicurare i beni che sono oggi di proprietà del ministero dei Beni culturali italiano e per lo stesso ente non è facile dare un valore ai propri asset». Nessuna compagnia potrebbe per esempio assicurare il Colosseo oppure il lenzuolo della Sacra Sindone che pure aveva rischiato di andare perso con l’incendio che nel 1997 distrusse la cappella di Torino, riaperta solo nel 2018. «Bisogna distinguere tra l’assicurazione degli oggetti d’arte, che trovano quasi sempre una copertura e i fabbricati», aggiunge Scala. In quest’ultimo caso la compagnia può pagare il valore della ricostruzione ma non il valore artistico. Nel caso in cui una calamità colpisse la cappella Sistina, per fare un esempio, «sarebbe rimborsato l’importo per la ricostruzione della volta ma non quello degli affreschi di Michelangelo che probabilmente non avrebbero valore», spiega Scala. La buona notizia è che in Italia ci sono enti con maggiore autonomia e disponibilità di spesa, come il Vaticano, le regioni o i comuni, «che fanno un ricorso più ampio alle coperture assicurative per il proprio patrimonio artistico», aggiunge Strummiello. Proprio grazie a questa autonomia la Conferenza episcopale italiana (Cei) l’anno scorso ha firmato per esempio un accordo con Cattolica Assicurazione per proteggere 26 mila parrocchie da eventi catastrofali, come terremoti o inondazioni. Il comune di Milano e quello di Firenze, per fare un altro esempio, hanno scelto di affidarsi proprio ad Aon per tutelare i propri beni storici. Dopo i due incendi della Fenice di Venezia, nel 1836 e nel 1996, con ricostruzioni avvenute in entrambi i casi con il contributo di Generali (25 miliardi di lire nel secondo caso), la compagnia di Trieste resta saldamente l’assicurazione di riferimento per il teatro simbolo della città. Un’attenzione crescente c’è poi verso le polizze per il rischio terrorismo. Proprio i Lloyd’s di Londra, fanno sapere dal colosso delle polizze, sono stati in passato gli assicuratori del Duomo di Milano per questa polizza. «Una copertura più costosa del furto e dell’incendio», spiega Strummiello, «che è diventata una componente imprescindibile delle polizze per il patrimonio artistico e che viene sempre più spesso richiesta e prevede rimborsi anche per eventuali interruzioni di attività che possono essere significative in caso di monumenti molto visitati». Ma il ministero dei Beni culturali, come visto, ricorre alle assicurazioni in minima parte, per lo più quando le opere devono essere spostate, per essere concesse in prestito ad una mostra, per esempio. La gran parte del patrimonio artistico italiano resta quindi senza copertura assicurativa e se dovesse subire danni sarebbe lo Stato a dover intervenire, proprio come nel caso di Notre-Dame. In assenza di benefattori sarebbe quindi la collettività a doversi accollare i costi come è stato del resto anche per altri eventi catastrofali drammatici. Come con il terremoto dell’Aquila dove era assicurato appena il 2% degli edifici. Briciole rispetto ai 17 miliardi di euro spesi finora dallo Stato per la ricostruzione. (riproduzione riservata)

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