Se Unicredit espugnerà Commerz, per gli istituti italiani crescerà la spinta al consolidamento. Occhi puntati su Intesa, che per ora esclude m&a. Il dossier più spinoso è Mps, per il quale si scommette su Ubi Banca
di Luca Gualtieri

Jean Pierre Mustier sta seguendo con grande attenzione l’evoluzione della partita Commerzbank . L’amministratore delegato di Unicredit avrebbe affidato il dossier al suo fidato collaboratore Olivier Khayat, recentemente nominato co-ceo Commercial Banking Western Europe, che nelle ultime settimane si sarebbe spesso recato in Germania per monitorare la situazione e coltivare un’ampia rete di relazioni nell’establishment finanziario. Al lavoro ci sarebbe anche Andrea Maffezzoni, head of strategy e mergers and acquisitions (m&a), riservatissimo regista di molte delle ultime operazioni straordinarie del gruppo.
Senza dubbio piazza Gae Aulenti può giocare molte carte per aggiudicarsi Commerz, a partire dalla vicinanza ad Allianz , storico azionista presente anche nel capitale della banca di Francoforte con lo 0,6%. Ma la risorsa principale è probabilmente la tenace volontà di Mustier che vuole concludere al più presto un’aggregazione transnazionale. Per mesi il banchiere ha lavorato intensamente a un’integrazione con Société Générale , ma l’incertezza politica ha rallentato la trattativa. Il deterioramento del quadro congiunturale, l’aggravarsi del rischio Italia e gli attriti tra Roma e Parigi hanno messo una pesante ipoteca sul progetto che, comunque, non è stato messo da parte.
Oggi insomma l’acquisizione di Commerz toglierebbe Mustier dall’impasse e, al contempo, suonerebbe la sveglia al sistema creditizio italiano. Anche perché, suggerisce qualche analista, il piano di integrazione potrebbe prevedere quella scissione delle attività su cui Unicredit aveva ragionato nei mesi scorsi. Gli asset italiani (costituiti principalmente dal retail) potrebbero essere ceduti, spostando definitivamente il baricentro del gruppo sulla Germania e dando un forte impulso al consolidamento italiano. In molte sale operative si scommette insomma su Mustier e sul suo ruolo di first mover nella partita del risiko bancario. Un attivismo che potrebbe provocare le reazioni di Intesa Sanpaolo .

Dopo il mancato blitz sulle Generali il gruppo guidato da Carlo Messina ha evitato operazioni straordinarie, preferendo concentrarsi sugli obiettivi del piano industriale: «Non credo che Intesa parteciperà al consolidamento europeo. Un deal di m&a transnazionale apporterebbe sinergie davvero molto limitate», ha tagliato corto il banchiere in una recente intervista al Financial Times. Un concetto che sarà probabilmente nel corso dell’assemblea di bilancio che si terrà a Torino martedì 30 aprile. In un contesto in cui la scala e la dimensione internazionale saranno sempre più importanti difficilmente la Ca’ de Sass potrà però i ballare da sola ancora a lungo. Anche perché, alle attuali valutazioni di borsa, l’istituto rimane pericolosamente esposto agli appetiti di eventuali investitori stranieri, come del resto gran parte del sistema bancario nazionale.
Azzerate le riprese di valore dello scorso anno, le azioni degli istituti italiani quotano oggi a forte sconto sul patrimonio e potrebbero perdere ulteriormente terreno in caso di nuove tensioni sul debito pubblico. Con una differenza sostanziale però rispetto al passato: oggi gran parte delle banche hanno fondamentali solidi con una robusta posizione patrimoniale, una qualità del credito in miglioramento e una base ricavi più diversificata. Per un investitore abbastanza audace insomma entrare sulle banche italiane sarebbe un affare. Anche perché quasi tutti i gruppi sono ormai completamente contendibili, dalle ex popolari trasformate in società per azioni a Unicredit che, con l’ultimo aumento di capitale da 13 miliardi, ha spazzato via gli azionisti storici.
Ma gli appetiti internazionali potrebbero riguardare anche altre banche italiane. Ad esempio, c’è chi ritiene che oggi Ubi e Banco Bpm siano particolarmente esposte a raid stranieri per le basse valutazioni di borsa e la buona dislocazione geografica. Per Ubi peraltro un’eventuale incursione ostile avrebbe quasi il sapore di una beffa visto che nel 2007 il gruppo nacque proprio con l’obiettivo di preservare la bresciana Banca Lombarda dalle mire del Santander, uscito sconfitto dalla corsa per il San Paolo di Torino.
Difficile dire se oggi Ubi opterà per una strategia simile, mettendo in campo un merger of equal per accrescere la massa critica e dissuadere un’incursione straniera. Se però lo facesse, l’ipotesi preferita dagli analisti è un’integrazione con Banco Bpm dove Giuseppe Castagna sta concludendo il processo di derisking in anticipo sulla tabella di marcia. Dalla fusione nascerebbe un gruppo con quasi 300 miliardi di attivi e una capitalizzazione di otto miliardi di euro, numeri che renderebbero praticabile anche un intervento sul dossier più delicato del sistema bancario, quello di Mps . Sembra infatti che il Tesoro abbia iniziato i primi sondaggi sul mercato per avviare il processo di vendita della banca senese. A breve potrebbe partire la ricerca degli advisor finanziari chiamati a gestire la procedura.
La tabella di marcia del resto è serrata ed entro la fine dell’anno l’azionista dovrà mettere nero su bianco tempi e modalità della privatizzazione. L’attuale management vedrebbe con favore un’operazione con Ubi o con Banco Bpm , ma il governo giallo verde avrebbe idee diverse e potrebbe spingere per un intervento di Poste sul Monte. Ipotesi quest’ultima tutt’altro che semplice però: difficilmente, si fa notare, un intervento diretto di Poste rispetterebbe gli stringenti paletti fissati dall’Europa in materia di aiuti di Stato. Anche perché, oltre al problema degli assetti proprietari, c’è il delicato tema della garanzia sui depositi: oggi infatti i depositi in Mps sono garantiti fino a 100 mila euro dal Fondo Interbancario, mentre quelli in BancoPosta sono tutelati senza limite di importo dallo Stato Italiano. Un’integrazione tra le due realtà porrebbe insomma un inedito problema di natura contrattuale, con spinose ramificazioni in materia antitrust.
Prima che qualsiasi trattativa entri nel vivo è possibile però che Siena faccia un’ulteriore pulizia dell’attivo. Nell’ipotesi di lavoro studiata da diverse banche d’affari, Rocca Salimbeni potrebbe deconsolidare in una volta sola un portafoglio di crediti deteriorati dal valore nominale vicino ai 10 miliardi. Una delle zone più calde del consolidamento bancario sarà infine l’asse Mediobanca -Generali . Finora Mustier non ha perso occasione per rassicurare il mercato sull’autonomia di Trieste, ma nell’ambito di un’aggregazione internazionale la posizione potrebbe cambiare. Difficile dire a quel punto cosa accadrebbe della Galassia del Nord anche se Intesa , che finora ha escluso ritorni di fiamma sul dossier, sarebbe senza dubbio il candidato ideale per garantirne l’italianità. (riproduzione riservata)
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