di Matteo Rizzi
Nell’Unione Europea la protezione del whistleblower è debole, se non nulla. In sette paesi su 28 non esiste nessuna forma di tutela per chi segnala alle autorità comportamenti illeciti condotti da un’organizzazione pubblica o privata. Bene per nove paesi, tra cui l’Italia, che hanno emanato una disciplina ad hoc che copre sia dipendenti pubblici e privati. Tuttavia, nessun paese Ue che ha emanato provvedimenti legislativi in materia «soddisfa pienamente le convenzioni internazionali e gli standard europei». A riportarlo è Blueprint for Free Speech, organizzazione internazionale non governativa che promuove il diritto alla libertà di espressione. Dopo l’arresto di Herve Falciani e il suo successivo rilascio in Spagna (si veda ItaliaOggi del 6 aprile 2018), torna sotto i riflettori il problema della protezione degli informatori. Come rileva il report pubblicato all’interno del programma «Change of Direction», finanziato in parte dal Fondo di sicurezza interna dell’Unione europea, sette paesi Ue non prevedono nessuna protezione degli informatori: Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Spagna e Polonia. In un metodo di valutazione che ha considerato differenti aspetti della protezione del whistleblower solo quattro paesi (Francia, Irlanda, Malta e Regno Unito) hanno totalizzato più di 50%, con l’Irlanda sul podio con il 66,7%. Altri 13 paesi su 28 hanno segnato oltre il 25%, tra cui l’Italia con un punteggio di 48,1%. Infatti, il paese si distingue non solo per una legge ad hoc su pubblico e privato (con Ungheria, Svezia, Olanda e Slovacchia), ma anche grazie al decreto 25 maggio 2017, n. 90, di recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio, sono state introdotte adeguate protezioni sul luogo di lavoro e l’immunità da procedimenti penali.
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