La legge di Bilancio 2017 prevede la possibilità di richiesta per il dipendente
Per convertire il premio di risultato non basta l’Agenzia
di Claudio Della Monica
Non bastano le indicazioni e gli esempi forniti dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 5/E del 29 marzo 2018 (si veda ItaliaOggi del 30 marzo), per far decollare la conversione del premio di risultato nei beni e servizi di cui all’art. 51, comma 4. E ciò a prescindere da valutazioni di convenienza fiscale sull’opportunità della conversione, da soppesare caso per caso.
Sulla base della legge di Bilancio per il 2017 (legge 11 dicembre 2016, n. 232) il dipendente può chiedere al datore di lavoro di convertire il premio di risultato spettante anche con benefit quali veicoli aziendali, mutui, fabbricati in uso o comodato e viaggi gratuiti nel settore ferroviario, in luogo dei cosiddetti servizi sociali (dall’istruzione alla ricreazione, dall’assistenza sanitaria a quella sociale, dalla cura dei figli all’assistenza agli anziani) e dei servizi di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23. Ciò a condizione che la conversione (cosiddetta welfarizzazione) sia espressamente prevista nel contratto collettivo territoriale o aziendale istitutivo del premio di risultato. Chiarito che, in caso di sostituzione, i predetti beni e servizi concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente sulla base degli imponibili convenzionali agevolati previsti dallo stesso comma 4 dell’art. 51, anziché sulla base del loro «valore normale», la circolare n. 5/E esamina ogni singola fattispecie di welfarizzazione con esempi numerici. Vediamo i primi due, certamente quelli più ricorrenti.
Per quanto riguarda l’autovettura aziendale a uso promiscuo, partendo da un premio di risultato spettante di 3.000,00 euro e da un valore convenzionale annuale dell’autovettura aziendale calcolato sulla base delle tabelle Aci di 1.885,50 euro, il lavoratore avrebbe a disposizione la differenza di 1.114,50 euro come premio di risultato oppure da convertire in altri benefit.
Nella pratica, l’unica fattispecie attuabile senza il consenso datoriale è quella del dipendente già dotato di autovettura aziendale a uso promiscuo tenuto però a corrispondere al datore di lavoro il controvalore dell’uso privato mediante trattenuta in bustapaga a fronte di regolare fattura.
Nelle altre ipotesi, invece, deve essere d’accordo il datore di lavoro, per esempio di dotare di autovettura il proprio dipendente che ne è sprovvisto oppure di estenderne l’utilizzo solo lavorativo anche a quello privato.
Non sono ovviamente da prendere in considerazione né i veicoli aziendali assegnati solo per uso lavorativo, non costituendo retribuzione in natura, né quelli concessi esclusivamente per utilizzo privato, che concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente con riferimento al «valore normale».
Nel caso invece del pagamento degli interessi sul mutuo contratto dal dipendente l’esempio numerico non è chiaro.
Si parte da un premio di risultato spettante di 3.000 euro che il dipendente chiede di convertire per alleggerire gli interessi sul mutuo (4.000 euro dovuti) e da interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto (a dir la verità, dal 1999 sostituito dal tasso ufficiale di riferimento, Tur) pari a 2.000 euro.
Sulla base della risoluzione n. 46/E del 28 maggio 2010, concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il 50% dell’ammontare risultante dalla differenza tra gli interessi calcolati al Tur al 31 dicembre di ogni anno e gli interessi al tasso praticato dalla banca mutuante, calcolati al netto del contributo erogato dall’azienda. Posto che la base imponibile contributiva e fiscale è pari a 500 euro (1.000 euro rimasti a carico del dipendente dopo la conversione, al 50%), non si comprende appieno sulla base di quale ragionamento l’Agenzia delle entrate conclude sostenendo che il dipendente ha disponibili ancora 2.500 euro come premio di risultato oppure da convertire in altri benefit.
© Riproduzione riservata
Fonte: