di Fabio Brunelli*
Come noto, l’investimento in un Oicr (Organismo di investimento collettivo del risparmio) è qualificato per accedere alle agevolazioni previste per i Pir (Piani individuali di risparmio), a condizione che lo stesso veicolo d’investimento rispetti le condizioni e i limiti previsti, ossia che almeno il 70% delle somme sia destinato a imprese italiane, di cui almeno il 30% (ossia il 21%) riservato a imprese non facenti parte del paniere dell’indice Ftse Mib.
Il limite di concentrazione prevede che non più del 10% delle somme dell’Oicr possano essere investite in strumenti finanziari del medesimo emittente. Tale limite costituisce un potenziale ostacolo per i fondi di private equity (in genere Fondi d’investimento alternativi chiusi riservati) che spesso investono più del 10% delle risorse impegnate in una singola operazione. Inoltre, questi fondi di solito compongono e dismettono il proprio portafoglio in modo graduale, trovandosi quindi in talune fasi della loro vita a superare detto limite in termini relativi rispetto al capitale richiamato.
In concreto, i fondi di private equity (così come quelli di venture capital e private debt) rischiano di non trovarsi nella condizione di potersi qualificare come veicoli d’investimento conformi alla normativa Pir ai fini della raccolta di capitale nel quadro dei piani di risparmio, con l’evidente contraddizione di escludere dalla platea degli operatori a cui affidare la gestione di questi flussi proprio quel segmento dell’industria finanziaria che possiede l’esperienza e le capacità di investire nelle pmi non quotate allo scopo di favorirne lo sviluppo.
I criteri direttivi forniti dal ministero dell’Economia, recepiti dalla circolare dell’Agenzia n. 3/E 2018, hanno chiarito che, nel caso alcuni fondi d’investimento conformi ai Pir investano in altri veicoli che non lo sono, «i vincoli all’investimento possono essere verificati avendo riguardo direttamente all’attivo del fondo di fondi, come se le quote o le azioni dei fondi sottostanti non esistessero». «Pertanto, il computo dei suddetti limiti va effettuato applicando agli strumenti finanziari che compongono l’attivo dei fondi sottostanti la percentuale di partecipazione del fondo di fondi nei fondi medesimi. In sostanza, si sommano gli investimenti dell’Oicr partecipante agli investimenti dei fondi partecipati demoltiplicandoli per la quota di partecipazione nei fondi sottostanti».
Dunque, un fondo conforme alla disciplina dei Pir (tipicamente un fondo retail nella forma di Oicvm – Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari) che destinasse una quota dei propri investimenti a un fondo di private equity (pur nei limiti circoscritti di quanto ammesso dalla disciplina regolamentare) potrà verificare la composizione del proprio portafoglio ai fini della qualifica sostanzialmente consolidando per la quota di propria pertinenza il portafoglio del fondo sottostante. Con l’effetto di demoltiplicazione, quello che per il fondo sottostante costituirebbe un investimento in eccesso rispetto al limite di concentrazione del 10%, assorbito nel portafoglio del fondo investitore risulterà con ogni ragionevole probabilità diluito ben al di sotto di tale limite. In questo modo, attraverso un approccio per trasparenza (look through), il fondo conforme ai Pir potrà computare nell’ambito dei propri investimenti qualificati anche le partecipazioni in piccole e medie imprese non quotate detenute dal fondo di private equity. L’effetto risulterebbe particolarmente virtuoso in quanto le tipiche partecipazioni di un fondo di questo tipo sono appunto costituite da imprese non quotate che rilevano ai fini della quota del 21%, che è quella commercialmente più ambita dal punto di vista del gestore del piano di risparmio e rappresenta il target privilegiato della normativa.
Affinché un fondo retail possa investire in un fondo di private equity, occorre peraltro valutare la liquidità dell’investimento e sotto questo profilo uno strumento quotato (come per esempio un veicolo di permanent capital) risulterebbe più adatto. La quotazione consentirebbe inoltre di disporre più facilmente di un fair market value giornaliero ai fini del monitoraggio del portafoglio sottostante. Sul piano operativo è necessario che la banca depositaria concordi con il gestore del fondo oggetto di investimento le opportune modalità per la trasmissione dei dati ai fini del monitoraggio e appresti gli eventuali adeguamenti ai propri processi. (riproduzione riservata)
*partner, Di Tanno & Associati
Fonte: logo_mf