Cassazione: se uno dei due muore in un incidente l’altro va risarcito

Case diverse? A contare è la relazione stabile
di Dario Ferrara
Si può essere conviventi anche senza stare sotto lo stesso tetto. Ciò che conta è che fra le parti vi sia una relazione stabile e duratura: se una delle due muore in un incidente, l’altra va dunque risarcita come se fosse un coniuge superstite. E ciò perché nel rapporto more uxorio il dato della mera coabitazione risulta recessivo: è destinato a perdere sempre più di importanza perché sono cambiati la società, il mondo del lavoro e il sistema del welfare; rileva invece che sussista un progetto di vita comune: ne sono indizi seri il fatto che la coppia abbia un conto corrente in comune e divida le spese per la vita di tutti i giorni. D’altronde anche la legge Cirinnà sulle unioni civili definisce i conviventi di fatto individuando il legame affettivo e la reciproca assistenza morale e materiale. È quanto emerge dall’ordinanza 9178/17, pubblicata il 13 aprile dalla terza sezione civile della Cassazione, che richiama la sentenza 7128/13.
Duplice errore. Accolto il ricorso della compagna del de cuius: compie un duplice errore la Corte d’appello che nega il ristoro dei danni patrimoniali e non sul mero rilievo che la vittima dell’incidente abbia lasciato la residenza anagrafica nel Comune dove vivevano il figlio e il nipote. L’uomo, pensionato, lavora in nero per una ditta: precipita nel vano ascensore di un hotel dove l’impresa sta realizzando una ristrutturazione. Il primo errore è di metodo: il giudice compie una valutazione frazionata degli indizi concludendo che nessun segmento assurge a dignità probatoria sotto il profilo della certezza, gravità e concordanza. Gli indizi vanno invece valutati nel loro insieme laddove dalla sintesi ognuno può rafforzare e trarre vigore dall’altro.
Centro affettivo. L’altro errore è di merito. Gli elementi sintomatici ci sono eccome: a casa della donna ci sono le agende con i giorni lavorati del defunto e le buste paga. Ed è dalla signora che i carabinieri vanno dopo la disgrazia indicandola come convivente nel loro rapporto. L’essenza della convivenza, in ogni caso, non può essere appiattita sulla mera coabitazione. Pesa la crisi economica, ma non solo: la scelta del luogo di abitazione è dettata da motivi economici o dalla necessità di accudire un parente non autosufficiente, visto che è impossibile «mantenere tutte le provvidenze dello stato sociale». Si lavora sempre più spesso in luoghi lontani dal proprio centro affettivo anche grazie a comunicazioni e trasporti più agevoli. Esistono anche unioni fondate sul matrimonio nelle quali i coniugi vivono distanti per gran parte della settimana o del mese «senza che per questo venga la famiglia». La stessa legge 76/2016 indica l’elemento spirituale per definire i conviventi di fatto, mentre la coabitazione resta un indizio da valutare insieme agli altri. Parola al giudice del rinvio.
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