L’investimento medio dei PIR in azioni e obbligazioni di emittenti non appartenenti all’indice Ftse Mib si attesta al 43% del portafoglio – pari a 6,8 miliardi di euro – più del doppio del minimo imposto dalla normativa per godere dei benefici fiscali. È questa una delle evidenze emerse dall’analisi sui Piani Individuali di Risparmio a cura dell’Ufficio Studi di Assogestioni presentata la scorsa settimana al Salone del Risparmio, nella conferenza dal titolo ‘Il successo dei PIR: numeri e investimenti ai raggi X’.

Apprezzati dai risparmiatori in particolare per i vantaggi fiscali che offrono, i Piani Individuali di Risparmio si sono imposti come un’innovativa fonte di raccolta di mezzi finanziari per la crescita e lo sviluppo delle piccole e medie imprese: nel 2017 hanno raccolto circa 11 miliardi di euro, pari all’11% della raccolta netta dell’intera industria italiana del risparmio gestito nel corso dei dodici mesi. I risparmiatori italiani che investono nei PIR sono già 800 mila e sono più di 500 mila i sottoscrittori che si affidano per la prima volta ai fondi comuni.

“C’è un generale consenso sul fatto che i PIR siano uno strumento che, in questa sua prima fase, ha dato un’ottima prova di sé. L’impatto sul mercato azionario italiano, soprattutto sui suoi segmenti meno capitalizzati, è stato positivo”, ha spiegato Alessandro Rota, Direttore Ufficio Studi Assogestioni. Il giudizio trova fondamento nei dati di portafoglio analizzati da Assogestioni: “Il peso delle partecipazioni dei PIR sul flottante Mid Cap – ha illustrato Rota – è dell’8%, per il segmento Small Cap del 6% e per l’AIM Italia del 10%: percentuali interessanti se si considera la giovane età di questi prodotti.” A poco più di un anno dal debutto del primo Piano Individuale di Risparmio, quasi tutti gli operatori hanno, nel loro ventaglio di offerta, uno o più fondi PIR compliant. “Guardando alle categorie di prodotti – ha aggiunto Rota – il 34% dell’offerta, in termini di patrimonio gestito, è composta da fondi azionari specializzati nel mercato italiano, mentre una quota ancora più elevata, ovvero il 39%, è rappresentata da fondi bilanciati. Un altro 26% delle masse, poi, è confluito in fondi flessibili”.

Secondo Fabio Galli, Direttore Generale Assogestioni, proprio grazie all’impatto che hanno avuto, i PIR sono destinati a evolvere: “Il mercato azionario italiano ha molto beneficiato dell’aumento di liquidita?, diverse imprese si stanno avviando al percorso, complesso ma premiante, della quotazione. L’effetto sul mercato del reddito fisso diverrà? via via maggiore”. Risulta ovviamente fondamentale il ruolo del consulente finanziario. “I risparmiatori vanno accompagnati verso investimenti che possono dare ottimi risultati di rendimento ma che richiedono piena consapevolezza circa la durata e certamente i PIR sono un’idea che potrà trovare fortuna anche all’interno dei futuri piani pensionistici europei, i PEPP”. “Per sostenere l’allocazione della ricchezza finanziaria verso l’economia d’impresa e le infrastrutture dell’Italia, avremo bisogno – anche in futuro – di un governo che accolga le competenze e le idee del risparmio gestito”, ha chiuso Galli.

Il messaggio di Matteo Zanetti, Confindustria e Aim Italia, guarda allo sviluppo futuro: “Continuiamo a lavorare affinché le grandi risorse raccolte dai PIR arrivino all’intero sistema industriale, anche alle imprese non quotate, perché si possa colmare il divario fra mercati dei capitali ed economia reale”.