Pagina a cura di Gianfranco Di Rago

Maggiore tutela per i proprietari di casa. La garanzia decennale per la rovina dell’edificio di cui all’art. 1669 c.c. si applica non solo alle nuove costruzioni ma anche alle semplici ristrutturazioni edilizie. Lo hanno chiarito le sezioni unite della Cassazione, chiamate a dirimere il contrasto interpretativo sorto sul tema, con la sentenza n. 7756 pubblicata il 27/3/2017.

Il caso. I condomini di un edificio avevano chiamato in giudizio la società venditrice e l’impresa che, su incarico della stessa, aveva eseguito sul medesimo degli interventi di ristrutturazione per sentirle condannare al risarcimento dei danni conseguenti a una serie di gravi vizi di costruzione. La condanna, ottenuta in primo grado per la responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., era però stata annullata dal giudice di appello, sul presupposto che tale disciplina fosse applicabile soltanto in caso di nuova costruzione. Di qui il ricorso in Cassazione, la cui terza sezione, rilevata l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sull’argomento, aveva rimesso la causa al primo presidente, il quale la aveva a sua volta affidata alle sezioni unite.

Il contrasto interpretativo sull’applicabilità dell’art. 1669 c.c. La disposizione dispone che per i beni immobili l’appaltatore sia responsabile se nel corso dei dieci anni dal suo compimento l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovini in tutto o in parte, ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti. La responsabilità decennale prevista dall’art. 1669 c.c., secondo una parte (minoritaria) della dottrina, avrebbe carattere del tutto speciale e si applicherebbe soltanto alle nuove costruzioni e a quegli interventi edilizi dotati di una propria autonomia in senso tecnico (come una sopraelevazione). Soltanto due, invece, secondo la ricostruzione della Suprema Corte, i precedenti di legittimità sulla vexata quaestio. Con sentenza n. 24143/2007 i giudici avevano aderito alla tesi sopra richiamata, ritenendo che le opere di mera modificazione o riparazione di un immobile preesistente non rientrassero nell’ambito di applicazione della suddetta norma. Di segno opposto, invece, la più recente sentenza n. 22553/2015, con la quale si era al contrario evidenziato come la stessa fosse applicabile anche nel caso di interventi su edifici preesistenti che avessero riguardato elementi essenziali del medesimo o elementi secondari ma rilevanti per la funzionalità globale.

La decisione delle sezioni unite. Quest’ultimo e meno restrittivo orientamento è quindi stato fatto proprio dalle sezioni unite della Cassazione. Secondo i supremi giudici, infatti, anche opere più limitate, aventi a oggetto riparazioni straordinarie, ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura immobiliare, possono rovinare o presentare evidente pericolo di rovina, tanto nella porzione oggetto dell’intervento quanto in quella, diversa e preesistente, che ne risulti coinvolta per ragioni di statica. Le sezioni unite, nell’esaminare la precedente giurisprudenza di legittimità che ha fatto applicazione dell’art. 1669 c.c., hanno evidenziato come dai singoli casi si ricavi che detta tutela sia stata concessa anche in riferimento a opere limitate, riguardanti elementi secondari e accessori dell’edificio, purché tali da comprometterne la funzionalità globale (si veda la tabella). Quindi, spostando l’attenzione sulle componenti non strutturali del risultato costruttivo e sull’incidenza che queste possono avere sul complessivo godimento del bene, la menzionata giurisprudenza ha mostrato di porsi dall’angolo visuale degli elementi secondari e accessori. Detta focalizzazione, sempre secondo le sezioni unite, ha quindi di fatto spostato il presupposto applicativo della disposizione in questione dal momento della realizzazione dell’opera ai gravi difetti della stessa. L’interpretazione estensiva dell’art. 1669 c.c. realizzata dalla giurisprudenza di legittimità è quindi andata oltre il suo originario carattere di norma a protezione dell’incolumità pubblica, valorizzando la non meno avvertita esigenza che l’immobile possa essere goduto e utilizzato in maniera conforme alla sua destinazione. Anche perché un trattamento differenziato tra fabbricazione iniziale dell’edificio e sua ristrutturazione, si legge nella sentenza in questione, non sarebbe apparsa conforme a un’interpretazione costituzionalmente orientata, potendo essere entrambe le attività foriere dei medesimi gravi pregiudizi. Per quanto riguarda la natura extracontrattuale di tale responsabilità, da sempre sostenuta dalla giurisprudenza e da gran parte della dottrina, le sezioni unite hanno evidenziato come l’attenzione rivolta alla categoria dei gravi difetti tenda a spostare il baricentro dell’art. 1669 c.c. dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene, dunque da un’ottica pubblicistica ed extracontrattuale a una privatistica e contrattuale.
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