Il dlgs, revisionando il contenuto del Codice, complica la vita alle stazioni appaltanti

Competenza dirigenziale o politica? Pasticcio nel correttivo

di Luigi Oliveri

Sovrapposizioni di competenze per attribuire l’incarico di responsabile unico del procedimento. Il correttivo al codice dei contratti non fa un bel regalo alle amministrazioni appaltanti, revisionando in parte il contenuto dell’articolo 31 del dlgs 50/2016. Il nuovo testo prevede che «per ogni singola procedura per l’affidamento di un appalto o di una concessione, le stazioni appaltanti individuano nell’atto di adozione o di aggiornamento dei programmi di cui all’articolo 21, comma 1, ovvero nell’atto di avvio relativo a ogni singolo intervento, per le esigenze non incluse in programmazione, un responsabile unico del procedimento». Il testo precedente, invece, disponeva che la nomina avvenisse «nel primo atto relativo a ogni singolo intervento». La riforma apre una serie di equivoci operativi di difficile soluzione. Prevedere, infatti, che le stazioni appaltanti «individuino» il Rup nell’atto di adozione o aggiornamento della programmazione triennale (per lavori) o biennale (per forniture o servizi) ha una conseguenza rilevante sul piano della competenza a provvedere: l’individuazione del Rup non può che spettare all’organo competente ad approvare appunto la programmazione. Che coincide con l’organo di governo; negli enti locali è addirittura il consiglio comunale. Il correttivo pone in essere una forte incoerenza con la disciplina sia della legge 241/1990 sia del lavoro pubblico. Il responsabile del procedimento, ai sensi della legge sul procedimento amministrativo, è nominato dal dirigente o comunque dal soggetto preposto alla direzione della struttura amministrativa e l’atto relativo è da considerare tipica espressione del potere organizzativo del datore di lavoro, che spetta in via esclusiva appunto ai vertici delle strutture tecniche e non agli organi di governo. Si potrebbe pensare, dunque, che il correttivo introduca una specifica deroga ai principi di divisione delle competenze e funzioni tra politica e gestione. Tuttavia, la riscrittura dell’articolo 31, comma 1, del codice dei contratti non coordina la previsione vista sopra con quanto disposto poco oltre, ove si stabilisce che «il Rup è nominato con atto formale del soggetto responsabile dell’unità organizzativa». Disposizione, questa, coerente con le regole della legge sul procedimento amministrativo e con il dlgs 165/2001, ma che aggrava il problema operativo di individuare, allora, quale sia l’organo competente alla nomina. Si potrebbe ritenere che la modifica del testo assegni all’organo il potere di «individuare» il Rup nella programmazione, limitandosi a dare un’indicazione al dirigente o responsabile di servizio. Tale individuazione, quindi, non sarebbe sufficiente per incardinare il Rup e rendere efficace l’incarico: allo scopo occorrerebbe comunque il provvedimento dirigenziale di nomina. Pertanto, la nomina potrebbe essere inquadrata come una fattispecie a formazione progressiva, con una prima indicazione del Rup a cura dell’organo di governo e la successiva assegnazione effettiva dell’incarico quale espressione del potere dirigenziale. Simile ricostruzione non appare, però, coerente con il principio di separazione delle funzioni di indirizzo politico da quelle gestionali, perché di fatto l’individuazione condizionerebbe fin troppo il provvedimento di nomina, ridotto a mera formalizzazione di una decisione adottata dall’organo politico. Tuttavia, sempre il decreto correttivo inserisce nel comma 1 dell’articolo 31 del codice la previsione secondo la quale «la sostituzione del Rup individuato nella programmazione di cui all’articolo 21, comma 1, non comporta modifiche alla stessa». Questa indicazione potrebbe essere utile per chiudere il cerchio: essa svela che il dirigente o responsabile di servizio può comunque modificare la designazione inizialmente fissata dall’organo di governo e, dunque, nominare un Rup diverso da quello individuato. Sicché, i principi di separazione e le regole generali viste sopra sarebbero comunque rispettate. Questa conclusione appare la più corretta, ma se così è ci si deve chiedere perché, allora, riformare il testo dell’articolo 31, comma 1, del codice, complicandolo nella forma, ma mantenendolo di fatto inalterato nella sostanza.

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