di Anna Messia

Investitori e analisti cominciano a conoscere Poste Italiane e l’interesse per il gruppo e per l’Italia resta alto. Il bilancio 2015, che si riassume in un utile netto di 552 milioni rispetto ai 212 del 2014, ha poi evidenziato che è partito il turnaround concepito dall’ad Francesco Caio e che sono raggiungibili i traguardi indicati al mercato lo scorso ottobre, al momento dell’ipo.

Considerazioni che lasciano immaginare che il mercato potrebbe essere pronto ad accogliere con favore la vendita di una seconda tranche di azioni del gruppo postale, come ventilato in più di un’occasione dal Tesoro, dopo la cessione di poco meno del 35% a ottobre. Anche se le quotazioni (venerdì 16 a 6,48 euro) non sono ancora tornate al prezzo dell’ipo (6,75 euro). «La decisione spetta ovviamente al ministero dell’Economia», dice Caio in questa intervista a MF-Milano Finanza, ma il numero uno del gruppo non nasconde che c’è un interesse crescente per le Poste Italiane . Gli investitori «non ci fanno più domande per capire come funziona il gruppo. Ormai chiedono degli sviluppi dei singoli business», dice Caio tornato di recente da un incontro con gli analisti a Londra e New York, e «i dati sull’andamento dell’azienda diffusi di recente mostrano che siamo all’inizio di un lungo percorso, ma andiamo nella giusta direzione».
Domanda.

La vendita di un altro pezzo di Poste Italiane potrebbe anche servire a spingere ancora la crescita del gruppo?
Risposta. Il primo grande passo lo abbiamo fatto con l’ipo di ottobre, con la riorganizzazione della governance. Una nuova tranche non sarebbe quindi associata a variazioni al business plan, in cui è stato delineato il percorso di Poste Italiane verso un’azienda che fornisce al grande pubblico servizi semplici e trasparenti. Con la quotazione è stato un intero sistema Paese che ha fatto ai mercati una proposta di valore, passando per la riforma strutturale del sistema postale, con l’impegno congiunto del governo e del management.

D. Tuttavia questa riforma sta incontrando opposizioni. Ci sono ricorsi al Tar di enti locali e il ministro degli Affari Regionali, Enrico Costa, ha minacciato di chiamare in campo Bruxelles contro la consegna a giorni alterni. Riuscirà a rispettare la promessa di riportare in equilibrio l’area recapiti nel 2019, visto che nel 2015 il rosso è stato ancora di 568 milioni?

R. Abbiamo chiarito subito agli investitori che questa trasformazione richiederà qualche anno. È una macchina enorme. È vero che la corrispondenza è in calo ma il comparto gestisce miliardi di pezzi e milioni di pacchi e per renderlo efficiente servono importanti investimenti tecnologici insieme all’umiltà di capire i tempi necessari a questo cammino.

In ogni caso la riforma del servizio postale ha come stella polare l’universalità del servizio. Considerando che il contributo dello Stato è passato da più di 1 miliardo a 260 milioni, la soluzione trovata è stata quella dei giorni alterni, consapevoli che per il cliente il vero valore non è la velocità ma la certezza del recapito.
D. Oltre che sulla consegna a giorni alterni anche le chiusure degli uffici stanno provocando proteste.

R. Si tratta di un tema diverso. Poste Italiane ha fatto della prossimità e della fiducia dei cittadini i punti di forza e nessuna manovra andrà a inficiare la capillarità degli uffici nei Comuni italiani. Ma il gruppo non può farsi carico del venir meno della presenza dello Stato sul territorio. Dobbiamo ragionare insieme a esso e alle istituzioni locali su come rileggere e reinterpretare le infrastrutture del gruppo.

D. A che cosa si riferisce?

R. Siamo pronti a dialogare con le istituzioni per veicolare nei nostri uffici nuovi servizi, anche della pubblica amministrazione,. In parte lo stiamo già facendo. Per esempio con l’identità digitale appena partita (la richiesta di un pin per usare i servizi online della pubblica amministrazione, ndr). I nostri uffici, già oggi ne sono abilitati 3.800, non sono l’unico punto di accesso ma sono subito diventati un riferimento per il territorio. Oltre alla prenotazione e al pagamento per una visita medica Asl, i voucher Inps, la gestione dei permessi di soggiorno o ancora i biglietti per il trasporto locale. Il passaggio non è ovvio ma bisogna capire le potenzialità delle infrastrutture del gruppo e quelle tecnologiche che andranno coniugate con le richieste e le esigenze del territorio. E tutto va fatto rispettando le regole di mercato, in un rapporto trasparente, visto che ovviamente Bruxelles ci osserva attentamente. La trasformazione sta già coinvolgendo i portalettere, anche questa una figura in evoluzione.

D. Potranno anche aiutare il gruppo a raggiungere l’obiettivo dei 500 miliardi di asset in gestione fissato al 2020?

R. Non potrà toccare a loro questo compito, ma avranno un altro obiettivo. Siamo in una fase progettuale ma l’idea è quella di fare in modo che i portalettere possano per esempio raggiungere i cittadini a rischio di esclusione con nuovi servizi. E non mi riferisco solo agli anziani che abitano in un piccolo paese, ma anche a quelli che vivono nelle grandi città, magari all’ultimo piano di un palazzo. Il 95% dei nostri portalettere è dotato già oggi di un terminale wireless con cui possono essere pagati bollettini postali o fare ricariche Postepay e stiamo lavorando anche sulle ricariche dei telefonini. Ma si può ragionare su una molteplicità di servizi. In alcuni Comuni abbiamo per esempio sperimentato la consegna a domicilio di farmaci. Come le dicevo l’intenzione è di ripensare l’utilizzo di tutte le infrastrutture di Poste Italiane .

D. Guardando il bilancio 2015 emerge che gli utili del gruppo sono arrivati da risparmio e polizze, con un risultato operativo di 930 milioni dei servizi finanziari e 487 milioni quelli assicurativi, in crescita rispettivamente del 21 e del 17%. Sono ritmi di crescita sostenibili in un contesto finanziario dai tassi d’interesse rasoterra?

R. Sarà la nostra sfida ma anche la nostra opportunità di crescita. A grandi blocchi il risparmio a noi affidato, circa 470 miliardi, si divide in 105 miliardi in polizze, 45 miliardi in conti correnti e 320 miliardi di risparmio postale che distribuiamo per conto di Cassa Depositi e Prestiti, e gestito da loro. Quest’ultimo, con rendimenti più bassi ma garantito dallo Stato, continuerà a rispondere alle esigenze di investitori e famiglie che cercano sicurezza degli investimenti, ma dobbiamo anche offrire risparmio dai rendimenti più attraenti, che implicano un minimo di rischio, e stiamo cominciando a farlo grazie anche all’alleanza con Anima Sgr, di cui nell’aprile 2015 abbiamo rilevato il 10%.

D. Ma le famiglie clienti di Poste Italiane sono pronte a rischiare più del passato? Che riscontri avete?

R. Siamo all’inizio e non abbiamo obiettivi aggressivi di crescita in questo mercato. Stiamo piuttosto rispondendo a una richiesta che arriva dai risparmiatori e stiamo facendo un lavoro puntiglioso per profilare i nostri clienti e capire il livello di rischio che sono disposti ad assumersi.

D. Come risponde invece alla richiesta arrivata dalle banche di distribuire anche loro i prodotti della Cassa Depositi e Prestiti?

R. Bisognerebbe guardare l’intero assetto. È vero che ne siamo gli unici distributori, ma abbiamo anche dei vincoli. Con BancoPosta non possiamo erogare credito, per esempio, mentre siamo obbligati a investire di fatto esclusivamente in titoli di Stato europei. (riproduzione riservata)
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