di Carlo Giuro
Mentre la possibilità di introdurre maggiore flessibilità nella parte pubblica è di nuovo d’attualità, delle indicazioni contenute nella risoluzione della maggioranza che accompagna l’approvazione del Def, anche il tema della previdenza complementare torna nei radar di un possibile intervento di manutenzione, presumibilmente nella prossima Legge di Stabilità. Come ha recentemente sottolineato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini il ragionamento che si sta conducendo è quello di delineare un quadro complessivo che tocchi i profili fiscali, la governance i rapporti tra primo e secondo pilastro, e l’eventuale obbligatorietà della adesione. Il tutto per ottenere una maggiore diffusione del secondo pilastro. Ma andando più nel dettaglio quali sono i profili oggetto di approfondimento? Il primo punto di attenzione è rappresentato dall’opportunità di ridurre l’aliquota di tassazione sui rendimenti dei fondi pensione che nella legge di stabilità 2015 era stata portata dal precedente 11 al 20%. Va ricordato, in ogni modo, che la componente investita in titoli di Stato è tassata al 12,50% o e si prevede un credito di imposta del 9% per gli investimenti che le forme pensionistiche complementari effettuano nell’economia reale. Quali sono le tipologie di investimento agevolate?
In primo luogo azioni o obbligazioni, quote di società ed enti, residenti in Italia o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in altri Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo, in relazione a specifici progetti relativi ai settori delle infrastrutture turistiche, culturali, ambientali, idriche, stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, sanitarie, immobiliari pubbliche non residenziali, delle telecomunicazioni, comprese quelle digitali e della produzione e trasporto di energia. Il periodo di detenzione deve essere di almeno cinque anni. In caso di cessione o scadenza prima del quinquennio il corrispettivo conseguito va reinvestito nelle medesime attività. Ulteriori strumenti ammessi sono poi azioni o quote di fondi di durata non inferiori ai cinque anni che investano nei sopra citati titoli e in crediti a medio e lungo termine erogati a società operanti nei settori individuati dal decreto e, ancora, azioni o quote di fondi emessi da Pmi definite ai sensi della Commissione europea. Va comunque ricordato che nella prevalenza degli altri Paesi europei non si preveda tassazione dei rendimenti dei fondi pensione per cui va vista sicuramente con favore la volontà di rivisitare l’avvenuto inasprimento fiscale. Profilo che auspicabilmente andrebbe rivisto è il regime stesso della tassazione dei rendimenti, attualmente sul maturato, mentre i rendimenti ottenibili tramite forme di risparmio puramente finanziario (come i fondi comuni) sono soggetti invece ad imposizione con il cosiddetto criterio di cassa o del realizzato.

Il tema della governance è poi di particolare rilevanza anche in considerazione della nuova normativa sui limiti di investimento e i conflitti di interesse. Un altro aspetto rilevante riguarda l’introduzione dell’obbligo, anche parziale, dell’adesione alla previdenza complementare per incrementare il numero degli iscritti guardando anche alle esperienze di successo sia estere che italiane, come il fondo Prevedi che lo scorso anno ha introdotto l’iscrizione automatica con il solo contributo del datore di lavoro, un operazione che ha permesso di coprire l’intera platea di lavoratori. (riproduzione riservata)
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