di Angelo Costa

Se il magistrato pone in essere una valutazione erronea della consistenza dello stato di insolvenza da cui nasce una dichiarazione di fallimento successivamente revocata, ciò non darà luogo a fattispecie di responsabilità civile del magistrato ai sensi della legge 117/88, nel testo in vigore prima della novella di cui alla legge 18/2015. Ad affermarlo i giudici della terza sezione civile della Cassazione con sentenza 6810 del 7/4/16. Gli stessi hanno evidenziato che il verificarsi del danno, per effetto di un atto del magistrato in tesi affetto da dolo o colpa grave, non è incluso tra i presupposti fissati dagli artt. 2, 3 e 4 della legge 117/88, richiamati, tra i requisiti di ammissibilità della domanda risarcitoria, dall’art. 5 della legge stessa (si veda Cass. 6697/2003). Inoltre la discrezionalità del legislatore nel modulare la tutela giurisdizionale, a fronte di situazioni diverse, è ragionevolmente esercitata, mentre la congruità del termine biennale di decadenza consente di rendere effettiva detta tutela, potendo gli interessati «disporre di elementi sufficienti per valutare l’operato dei magistrati e quindi per attivare, nei termini legali, l’eventuale azione risarcitoria». La Corte territoriale, nel riferire il termine di decadenza dall’azione, avrebbe, secondo gli Ermellini, erroneamente interpretato l’art. 4 della legge 117/88, mancando di dare corretto rilievo al requisito dell’«esaurimento del grado in cui si è verificato il danno» e, dunque, non considerando che gli attori «non avrebbero potuto avviare l’azione di responsabilità perché, sino a quel momento, alcun danno avrebbe potuto considerarsi consolidato». Sicché, ove avessero agito in detto termine, l’azione sarebbe stata ammissibile, ma sicuramente rigettata per infondatezza, in assenza di danno risarcibile. Ma secondo gli Ermellini il motivo era infondato, poiché prendeva le mosse da un errato presupposto interpretativo, suscitato da una lettura fuorviante della norma di riferimento di cui al secondo comma dell’art. 4 della legge 117/88, la quale, rispetto ad ipotesi in cui non siano contemplati rimedi avverso l’atto o il provvedimento che si assume pregiudizievole, ancora il termine decadenziale non già al momento in cui si è esaurito il procedimento nel cui ambito di è «verificato il danno», bensì al procedimento nell’ambito del quale si è «verificato il fatto che ha cagionato il danno», avendo, dunque, riguardo al c.d. fatto dannoso (Cass., 5/5/2011, n. 9910), frutto della condotta (commissiva od omissiva) lesiva e non alle sue conseguenze pregiudizievoli (c.d. danno conseguenza, che integra il danno risarcibile civile).
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