di Andrea Pira

Il 2016 rischia di rivelarsi un fiasco per la crescita economica globale. Le ragioni sono almeno quattro, elencate da Euler Hermes in una recente analisi a livello internazionale e riassunte guarda caso dall’acronimo «flop», che sta per: flows, ossia flussi di investimenti e commercio sotto le attese; liquidità a macchia; oil, vale a dire greggio, il cui prezzo continuerà a innescare effetti indesiderati; politiche pubbliche titubanti. In questo contesto di crescita in frenata (si stima un +2,5% a livello globale per quest’anno contro il +2,6 del 2015), circa il 70% del pil mondiale andrebbe incontro a un rallentamento o cadrebbe in recessione, con il Global Insolvency Index in salita del 2% e in aumento per la prima volta dal 2009. Anche l’Italia rischia di subire spinte al ribasso. Le cause sono da ricercare nella «frammentazione del mercato finanziario», spiega Ana Boata, economista per l’Europa della società di assicurazione crediti del gruppo Allianz . In particolare di quello bancario, «che ostacola la piena trasmissione all’economia reale delle politiche monetarie della Banca Centrale Europea». Nel 2016 Euler Hermes prevede per l’Italia una crescita del 1,2%, inferiore alla media europea (1,7%) e sotto le stime di Germania (+1,8%), Francia (+1,5%) e Spagna (+2,1%). A una crescita trainata dalla ripresa dei consumi, dai bassi tassi di interesse bancari e dal prezzo del petrolio, farà tuttavia da contro altare un ciclo manifatturiero ancora fragile. L’export dovrebbe raggiungere circa 20 miliardi di merci aggiuntive, dirette soprattutto verso i tradizionali mercati europei. Una performance in linea con quella dello scorso anno, quando la domanda di prodotti italiani fu trainata dall’euro e dall’effetto Expo. Boata nota inoltre l’esistenza di ulteriore spazio per l’allentamento della stretta sul credito e quindi di riduzione dei giorni medi di incasso: 93 nel 2016, ossia due in meno rispetto all’anno scorso e comunque lontani dal picco di 103 raggiunto nel 2013. Conseguentemente le insolvenze sono calate già l’anno scorso (per la prima volta in sette anni), ma il livello è ancora 2,2 volte superiore a quello pre crisi. Sulla crescita italiana e globale, oltre alle variabili indicate dall’acronimo «flop», potrebbero inoltre pesare quelle che Euler Hermes definisce sorprese. Si tratta per lo più di fattori politici: le presidenziali statunitensi, il voto thailandese, le eventuali nuove elezioni spagnole (sempre più vicine dopo il fallimento delle trattative per formare un governo a Madrid), le ripercussioni della crisi europea nella gestione dei migranti e la possibile estensione delle sanzioni contro la Russia a partire dal prossimo luglio. Per l’Italia tra gli appuntamenti dell’agenda politica da tenere in considerazione è citato il referendum sulla riforma costituzionale in calendario a ottobre, all’esito del quale il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha legato il proprio futuro e quello della legislatura. Ma la scadenza che più preme è quella del 23 giugno, quando i britannici saranno chiamati a decidere sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Gli esiti dovrebbero ricadere soprattutto su Londra e meno sul resto d’Europa, esclusa forse l’Irlanda. Per l’Italia l’esposizione a un’eventuale Brexit si tradurrebbe in perdite nell’export pari a circa 200 milioni di euro nel settore dei macchinari, altrettanti nell’agricoltura e nella chimica, 100 milioni nel tessile e nell’automotive. Per Euler Hermes la permanenza di Londra nell’Unione Europea ha una probabilità del 70%. Le previsioni di crescita sono state comunque riviste al ribasso sia per il 2016 sia per il 2017, rispettivamente al 1,9% e all’1,8%. In caso di uscita mitigata da un trattato di libero scambio, l’effetto cumulato per il 2017-2019 potrebbe provocare una perdita per il pil britannico del 2% che potrebbe degenerare in una recessione dell’1,3% tra tre anni senza un’altra forma di accordo commerciale con i partner comunitari. (riproduzione riservata)
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