La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale.

Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che l’agire umano, e in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno.

Nel casi di specie, è stato escluso il risarcimento in favore del danneggiato, che era caduto da uno scalino di una scaletta di ferro che consentiva la discesa a mare, atteso che il fatto che sugli ultimi gradini della scala non fossero state applicate strisce antiscivolo non era incompatibile con una struttura dei gradini di per sé predisposta per evitare di scivolare; il Giudice di Merito aveva inoltre evidenziato che il particolare luogo in cui era avvenuto l’infortunio richiedeva, da parte dei fruitori, una particolare attenzione, a esso adeguata.

Cassazione civile sez. VI, 07/01/2016 n. 56