Di Andrea Giacobino
Un’assemblea per certi versi storica quella di settimana prossima per Azimut , la rete quotata di private banker e consulenti fondata e guidata da Pietro Giuliani. Proprio Giuliani, infatti, uscirà dalla riunione coi soci smettendo la doppia veste che ha ricoperto finora di presidente e amministratore delegato.

Nel frattempo Azimut continua a macinare raccolta (1,7 miliardi di euro nel primo trimestre) e a piantare all’estero bandierine del suo business che oggi vale quasi 38 miliardi di asset under management. Ma l’appuntamento con gli azionisti sarà caldo anche perché due importanti proxy consigliano di votare contro alcuni punti all’ordine del giorno.
Domanda. Dalla prossima assemblea uscirà un fondatore, Pietro Giuliani, che però non cumulerà più le cariche di presidente e ad. Perché questa decisione?

Risposta. È stata una specifica richiesta di Banca d’Italia. Cercheremo di trarre il meglio da questa decisione.

D. Quando sarà annunciata la nomina del futuro amministratore delegato? Coesisterà con altri ad interni o sarà solo? Quale sarà il suo profilo? Sarà italiano o estero?

R. Stiamo lavorando per individuare il nuovo ad entro l’estate. Il suo profilo sarà quello di un uomo del business dell’asset management, con competenze sull’estero e dirette o indirette sul digitale.

Interagirà con una squadra di vertice in Azimut , lo farà da capo azienda, integrando e ampliando un buon livello manageriale già esistente nel nostro gruppo. Non ci sono preclusioni verso stranieri purché parlino la nostra lingua.
D. Al voto dell’assemblea viene sottoposto anche un compenso integrativo abbastanza corposo per il collegio sindacale. Cosa che non è la norma, anzi. Come mai?

R. Il compenso proposto per il collegio sindacale era volutamente corposo per non svelarne l’entità e lasciare la massima flessibilità nella decisione. Si è volutamente scelta la via della massima trasparenza proponendolo all’assemblea. La ratio era che in questo triennio per circostanze contingenti i nostri colleghi hanno veramente lavorato tanto e ben al di sopra di quello che è un normale impegno richiesto ai sindaci di una società quotata.

D. Che ne pensa della decisione di due dei maggiori proxy, Glass Lewis e Iss, di dare suggerimento di bocciare molti punti all’ordine del giorno dell’assemblea (contro il rinnovo del cda, contro le politiche di remunerazione, i bonus di fine mandato ai manager e quello già citato ai sindaci)?

R. Anche se con fatica, cerco di essere rispettoso verso ogni forma di attività. Non credo che si possa affidare a delle regole e a dei manuali, per quanto ben fatti, il giudizio su cosa sia bene o male per una società di servizi, basata quasi esclusivamente sulle risorse umane che vi lavorano. Le peculiarità di Azimut , fino a oggi gestite con ampia delega al sottoscritto, hanno prodotto risultati magnifici. Conto sul fatto che gli azionisti, essendone contenti, superino alcune rigidità della cosiddetta best practice a vantaggio di una maggiore e più probabile costruzione di valore.

D. Quali i tempi per l’ok alla trasformazione in sgr?

R. Alla domanda può rispondere con precisione solo la Banca d’Italia.

D. «Se non otteniamo la trasformazione in sgr sono pronto a spostare la sede di Azimut fuori Italia». Conferma questo orientamento da lei già espresso? Non sarebbe, anche questa, un’altra perdita per il sistema-Italia?

R. Confermo che in mancanza di novità entro il 28 aprile, lo spostamento della sede di Azimut all’estero sarà discusso nella prossima assemblea. Credo che spingere fuori dall’Italia una società che cresce, che produce 250 milioni di utile netto all’anno, che impiega circa 2 mila persone, che si sta facendo onore fuori dal Paese, espandendosi nei mercati emergenti, e che sta promuovendo una serie di attività a supporto della piccola e media impresa nazionale si commenti da solo. Continuo a pensare che questo non debba accadere.

D. Un anno fa lei e altri manager vendevate pacchetti consistenti. Lei, in particolare, ha incassato oltre 40 milioni. Come li ha impiegati? Quanto Giuliani ha oggi effettivamente della società che ha fondato? A che punto è il piano di riacquisto titoli da parte della Timone Fiduciaria?

R. Per la precisione ho incassato 30 milioni di euro (la tassa sul capital gain, come le altre imposte le ho pagate). L’importo l’ho investito interamente in fondi del gruppo Azimut . Con i nuovi annunci fatti, la mia partecipazione in società dovrebbe attestarsi intorno allo 0,5%. Per quanto riguarda l’acquisto di azioni di Azimut nei prossimi quattro anni da parte di 1.111 colleghi che lavorano nel gruppo e che volontariamente, a prezzi di mercato, senza sconti, decidono di acquistarle nei prossimi 48 mesi investendo di tasca propria una media di 600 euro al mese, credo che meriterebbe una maggiore attenzione da parte dei media e un maggior rispetto quando si pensa a noi. C’è qualcuno che può dire che non sia un bell’esempio per l’Italia e purtroppo un caso unico per modalità e dimensioni? Mi rendo disponibile al confronto. Quanto farebbe bene a tutti conoscere le ragioni e i valori che portano oltre mille italiani a investire una parte dei loro risparmi per continuare a finanziare l’azienda dove lavorano e un progetto in cui credono, senza chiedere niente a nessuno, se non di rispettare le loro scelte e di non essere troppo malevoli con loro solo perché non si ha neanche voglia di capire e/o si è semplicemente invidiosi?

D. In un anno il titolo Azimut ha perso oltre il 15%. Cosa ha determinato questo calo? La polemica sulle vostre commissioni di performance, destinate prima o poi a essere ridimensionate? O sui fondi estero-vestiti dopo l’ultimo richiamo Consob?

R. Il calo del nostro titolo è stato fisiologico, visti i mercati degli ultimi tempi. Ritengo la valutazione dell’azione Azimut attualmente troppo bassa e anche qui, senza troppe parole, sto cercando insieme a un centinaio di colleghi di investire in un’opzione call che nei prossimi quattro anni darà i suoi frutti solo con un prezzo superiore ai 30 euro, dagli attuali circa 21. Ho spiegato già altre volte che il nostro pricing ci ha consentito di far guadagnare ai nostri clienti da oltre 20 anni circa l’1% all’anno in più della media dei nostri concorrenti.

D. Dell’andamento del titolo soffrono anche i vostri 12 top key people, che lo scorso anno hanno sottoscritto altri strumenti finanziari partecipativi (sfp) a 25 euro, che però, se l’assemblea approva, incasseranno 24,74 euro a titolo di dividendo. Mentre gli azionisti normali sono remunerati per 1,5 euro lordi di cui 1 euro subordinato alla cancellazione di Azimut dall’albo delle sim. Perché tale disparità?

R. Non c’è disparità di trattamento tra sfp e azioni Azimut : queste ultime, oltre al dividendo, crescono di valore in maniera molto più importante. Vale la pena ricordare che oltre il 13% delle azioni della società sono nostre, sarebbe davvero autolesionismo penalizzarci a favore di altre forme di investimento.

D. La vostra espansione all’estero vi ha fatto diventare l’unica vera multinazionale italiana del risparmio. Ma quali sono in attivo, dei 14 paesi dove siete presenti? La controllante Az International holdings sa ha chiuso l’anno in perdita ed è stata finanziata per 70 milioni

R. È normale che la nostra subholding di partecipazione venga finanziata dalla capogruppo per poter continuare a espandere la nostra attività fuori dall’Italia. È riduttivo limitarsi a giudicare l’operato di Az International holdings sa solo con i numeri di bilancio: quale sarebbe il reale valore di mercato delle sue partecipazioni se venissero vendute? In tutti i Paesi dove operiamo siamo in utile, o stiamo per esserlo nei prossimi anni. Perseguiamo una logica di crescita di lungo periodo che fa di noi l’unico asset manager italiano con reali possibilità di competere a livello globale. Questo ci è riconosciuto da tutti gli analisti e player a livello internazionale. Siamo orgogliosi di essere gli unici italiani a poter offrire ai nostri clienti un reale servizio di investimento a livello globale, pensando con la testa di chi abita in questo Paese e conosce bene i suoi clienti, ma che possiede società sparse per il mondo, dove alcuni nostri colleghi dirigono e cooperano con professionisti locali di etnie differenti dalla nostra. (riproduzione riservata)
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