di Carlo Giuro

Il tema lavoro-pensioni torna prepotentemente al centro del dibattito politico. Tra i tanti temi di cui si discute vi è la opportunità di ridurre il cuneo contributivo. Tra le idee che circolano vi è la ipotesi di diminuire l’aliquota della contribuzione obbligatoria di sei punti, di cui di cui tre a beneficio del datore di lavoro e tre a beneficio del lavoratore il quale potrebbe alternativamente destinarli o a incrementare i consumi facendoli confluire in busta paga o indirizzandoli a previdenza complementare (opting out). Le finalità sono sia quella di ridurre il costo del lavoro per favorire una ripresa stabile dell’occupazione che il rilancio dei consumi. Interessante è poi la possibilità di introdurre l’opting out per rilanciare la previdenza complementare. Di che si tratta e quali sarebbero i vantaggi? La premessa è che non si tratta di una novità assoluta. Il riferimento va al massimale retributivo previsto nel metodo di calcolo contributivo. E quel tetto di reddito (per quest’anno pari a 100.324,00 euro annui) oltre il quale, chi si trovi nell’applicazione integrale del metodo di calcolo contributivo, non deve versare contributi al pilastro obbligatorio.

Si consente in questo modo ai soggetti con redditi elevati oltre il massimale di versare in proporzione meno contributi obbligatori liberando spazio per la adesione volontaria e la contribuzione alla previdenza complementare usufruendo dei relativi benefici fiscali. Va anche ricordato come la riforma Fornero la avesse inserita come ipotesi di approfondimento con la previsione di una Commissione ad hoc. Ma qual è la funzione dell’opting out, cioè la riduzione di contributi obbligatori in favore della previdenza complementare? Si consente al risparmiatore di diversificare il proprio rischio previdenziale facendo coesistere un sistema pensionistico pubblico a ripartizione e uno privato a capitalizzazione assorbendo i possibili shock.

Il sistema pubblico è infatti finanziato a ripartizione ed eroga le prestazioni secondo il regime della contribuzione definita; il montante accumulato è rivalutato in base alla media mobile quinquennale del tasso di crescita del pil e al momento del pensionamento, viene convertito in una rendita vitalizia il cui ammontare dipende dall’evoluzione della longevità. Il risparmiatore è quindi esposto ad una serie di rischi legati sia all’andamento dell’economia che al rischio demografico con effetto sui coefficienti di trasformazione del contributivo che vengono rivisti in automatico ogni tre anni e dal 2019 ogni due anni. Non vanno poi sottovalutati i rischi di natura politica, vale a dire la possibilità che vengano a cambiare le regole di pensionamento, soprattutto del sistema obbligatorio. Anche nella previdenza complementare l’aderente affronta una serie di rischi: aderire a un piano costoso, contribuire al piano in modo non adeguato, selezionare un profilo di investimento incoerente rispetto alle caratteristiche personali, scegliere una modalità di fruizione della prestazione pensionistica (rendita ovvero capitale) inadeguata. Ben venga l’opting out allora, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, ma la precondizione è che si affronti in modo organico e strutturale il tema della educazione previdenziale. (riproduzione riservata)
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