Pagina a cura di Vincenzo Josè Cavallaro 

 

Il raddoppio dei termini di accertamento non opererà nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria. E questo anche se nelle annualità anteriori al 2010 sono state superate le soglie di punibilità per uno dei reati tributari previsti dal dlgs 74/2000. Dalla bozza del decreto legislativo sulla certezza del diritto, arrivano certezze anche per la voluntary disclosure relativamente alla non operatività del raddoppio dei termini in caso di reati tributari. Si trattava dell’ultimo tassello mancante nel puzzle normativo in cui la procedura di collaborazione volontaria trova la propria cornice di diritto. La bozza approvata dal governo il 21 aprile conferma la linea dell’esecutivo rispetto alla precedente bozza del 24 dicembre. Viene previsto in modo molto chiaro che il raddoppio dei termini in caso di fatti per i quali scatta l’obbligo di denuncia per uno dei reati tributari non operi qualora la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini ordinari di accertamento.

I termini di accertamento a legislazione vigente sono raddoppiati nei seguenti casi: a) per le violazioni che comportano l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cpp per uno dei reati tributari previsti dal dlgs 10 marzo 2000, n. 74; b) nel caso di accertamento basato sulla «presunzione» di cui all’art. 12 del dl n. 78/2009, secondo cui le attività finanziarie e patrimoniali estere detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale, si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. Quanto a tale secondo raddoppio dei termini, il comma 4 dell’art. 1) della legge 186/2014 sulla collaborazione volontaria rende non operativo il raddoppio dei termini di decadenza dell’azione accertatrice per gli attivi detenuti in Paesi che, seppur menzionati in una delle black list italiane, sono divenuti collaborativi. È necessario, in merito, che il Paese di riferimento abbia firmato un accordo sullo scambio di informazioni a domanda conforme agli standard Ocse entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Come è noto dopo l’entrata in vigore della legge 186/2014, sono stati firmati accordi che rendono non operativo tale raddoppio da paesi come la Svizzera, Monaco, Liechtenstein, e prima da Lussemburgo, Singapore, San Marino. Non scatta il raddoppio dei termini, dunque, se gli attivi sono depositati in un Paese che, pur essendo incluso in una black list italiana, è divenuto collaborativo perché ha firmato un protocollo modificativo della relativa convenzione contro le doppie imposizioni che rende effettivo lo scambio di informazioni a domanda, anche in deroga al segreto bancario e professionale.

Le condizioni previste dalla legge per rendere non operativo tale raddoppio dei termini sono: a) la sottoscrizione entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge sulla collaborazione volontaria di una convenzione che preveda un effettivo scambio di informazioni tra il Paese menzionato nel dm 4 maggio 1999 o nel Dm 21 novembre 2001 e l’Italia; b) il rilascio all’intermediario finanziario estero dell’autorizzazione a trasmettere alle autorità fiscali italiane richiedenti tutti i dati concernenti le attività oggetto di collaborazione volontaria (qualora gli attivi non siano rimpatriati fisicamente o giuridicamente in Italia on in uno dei Paesi Ue collaborativi); c) in caso di trasferimento delle attività oggetto di emersione ad altro intermediario, il rilascio di tale autorizzazione entro 30 giorni dal trasferimento e la trasmissione di tale autorizzazione alle autorità fiscali italiane entro 60 giorni dal trasferimento.

Per attivi depositati in Paesi originariamente black list poi divenuti collaborativi, restava incertezza in merito all’operatività raddoppio dei termini in caso di violazioni che comportano l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cpp per uno dei reati tributari previsti dal dlgs n. 74/2000.

La tematica del raddoppio dei termini per fatti rilevanti dal punto di vista del diritto penale tributario deve fare i conti però con una causa di esclusione della punibilità la cui portata è veramente ampia. La tesi dell’Agenzia delle entrate è che, nonostante l’ampiezza della causa di esclusione della punibilità legata alla procedura di collaborazione volontaria, l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cpp permane, e con esso il raddoppio dei termini. Tale impostazione appare in verità contraria alla ratio del raddoppio dei termini in parola, che è di dare maggior tempo all’Amministrazione finanziaria per accertare fatti particolarmente complessi utilizzando l’esito delle indagini giudiziarie che scaturiscono dalla notitia criminis. Indagini che, a seguito dell’esimente penale, neanche partirebbero.

La bozza di decreto legislativo approvata dal governo in data 21 aprile restituisce dunque certezza alla procedura di collaborazione volontaria. La direzione sulla non operatività del raddoppio dei termini anche per fatti che comportano l’obbligo di denuncia è tracciata. Tale direzione è assolutamente conforme alla delega che il governo ha ricevuto dal Parlamento, che prevede: «Il governo è delegato altresì a definire, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza, fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi». La prima bozza di decreto legislativo sulla certezza del diritto che era stata approvata dal governo in data 24 dicembre 2014 prevedeva che il raddoppio termini per le violazioni che comportano l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 cpp per uno dei reati tributari previsti dal dlgs 10 marzo 2000, n. 74 fosse operativo a condizione che la notizia di reato fosse inoltrata entro gli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice. Il testo proposto dal governo in data 21 aprile conferma quanto era stato proposto in data 24 dicembre e valorizza con grande forza la ratio che è sottesa al raddoppio dei termini in caso di fatti penalmente rilevanti, che è quella di dare maggior tempo all’Amministrazione finanziaria per accertare fatti particolarmente complessi, mediante l’esito delle investigazioni di polizia giudiziaria attivate a seguito della notizia di reato. In sostanza, se la notizia di reato è inviata entro gli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice è assolutamente ragionevole dare maggior tempo all’amministrazione per utilizzare gli esiti delle indagini di polizia giudiziaria. In passato l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto operativa la norma sul raddoppio dei termini anche quando la notizia di reato era inviata oltre i termini di decadenza dell’ordinaria azione accertatrice. La bozza di decreto legislativo sposa un orientamento già fatto proprio da diverse sentenze della giurisprudenza di merito e va nella direzione di ridare serenità al rapporto tra Fisco e contribuente. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, nel confermare la legittimità, in presenza di reato, del raddoppio dei termini di decadenza, ha sancito il dovere dei giudici di merito, a richiesta del contribuente, di svolgere un controllo sul riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia per evitare un utilizzo strumentale della segnalazione da parte dell’amministrazione. In tal senso la Commissione tributaria regionale dell’Umbria (Sent. n. 237/1/11 e n. 41/02/2012) ha ritenuto che se il reato tributario è prescritto, l’Ufficio non può usufruire del raddoppio. Ad analoghe conclusioni è poi giunta sia la Commissione tributaria provinciale di Vicenza (Sent. n. 824/1/12) e la Commissione tributaria provinciale di Ancona (Sent. n. 102/2/13). A ciò va poi aggiunto che l’Amministrazione, proprio per consentire alle Commissioni tributarie di operare la valutazione richiesta dalla Consulta, deve produrre la comunicazione di reato, circostanza che, di norma, non avviene. Per queste ragioni alcune Commissioni (Comm. trib. prov. di Milano, sentenze n. 231/40/2011 e n. 327/5/2011; Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, n. 135/1/2012; Comm. trib. prov. di Treviso, n. 73/5/2012; Comm. trib. prov. di Lecco, n. 74/1/12) hanno chiarito che, non potendo verificare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, il raddoppio in questione non è legittimo. La norma approvata dal Consiglio dei ministri fa salvi solo gli effetti degli atti notificati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo. In sostanza la tematica del raddoppio dei termini in caso di violazioni che comportano l’obbligo di denuncia per uno dei reati tributari previsti dal dlgs n. 74/2000 nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, rischiava di creare problematiche operative molto rilevanti in assenza di conferme autorevoli quale quella arrivata dal governo in data 21 aprile. Alla luce del tenore letterale della delega rilasciata dal Parlamento al governo e del testo proposto dal Consiglio dei ministri nella procedura di collaborazione volontaria non potrà essere applicato tale raddoppio dei termini. L’Agenzia delle entrate non può non prendere in considerazione l’indicazione arrivata dal governo nell’ambito della gestione di dossier di voluntary disclosure, e questo anche prima che il dlgs sulla certezza del diritto entri in vigore.

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