Non solo Vicenza e Veneto Banca. Le azioni di quasi tutti gli istituti non quotati si stanno riallineando ai valori di Piazza Affari Una decisione voluta dalla Vigilanza, che favorirà le aggregazioni

di Luca Gualtieri  

C’è una banca in Italia le cui azioni hanno abbondantemente superato la soglia dei 100 euro. Naturalmente non è quotata sul Ftse Mib, dove i titoli bancari non sfondano il muro dei 30 euro, ma è comunque un istituto con migliaia di soci e un buon radicamento nel territorio di appartenenza.

Si tratta della Popolare di Ragusa, l’istituto siciliano guidato da Giovanni Cartia, che siede alla presidenza dal 2001 dopo quasi mezzo secolo in banca. Oggi gli oltre sei milioni di azioni della popolare valgono 116,2 euro l’una, un record anche per le banche italiane non quotate, che finora sono rimaste al riparo dai saliscendi delle borse. Tanto più che, in barba alla crisi finanziaria, dal 2002 a oggi il prezzo di emissione delle azioni di Popolare Ragusa è salito del 55% (da 75 a 116,2 euro) senza mai arretrare per un solo esercizio.

 

Il valore dei titoli delle banche non quotate è da anni argomento di accese discussioni tra soci, investitori e regulator. Se c’è chi ritiene irrealistici i prezzi espressi da certi istituti, soprattutto in relazione a quanto accade sulle piazze finanziarie, mentre altri osservatori pensano che tali istituti abbiano fatto bene a valorizzare appieno i propri fondamentali, tenendosi al riparo dalla schizofrenia della speculazione. Tanto più che, nella gran parte dei casi, il prezzo viene fissato alla luce del sole, con procedure disciplinate da statuti e regolamenti.

Generalmente questo viene approvato ogni anno dall’assemblea su proposta del consiglio di amministrazione, sulla base di analisi che prescindono da variabili di tipo speculativo. Un ruolo determinante in questo procedimento viene svolto da consulenti, soprattutto docenti universitari. In altri casi il prezzo viene stabilito attraverso meccanismi di asta a chiamata, analoghi a quelli utilizzati da Borsa Italiana. In aggiunta, puntualizzano i difensori, la comparazione tra le grandi piazze finanziarie e i piccoli o piccolissimi circuiti in cui sono negoziate le azioni delle non quotate è quanto meno abbastanza forzata.

Se insomma il dibattito dura da parecchio, l’elemento di novità di queste settimane è l’inversione di tendenza segnata da alcune tra le principali popolari non quotate. Mercoledì 8 e giovedì 9 aprile la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno annunciato la drastica svalutazione delle proprie azioni (rispettivamente a 48 e 30,5 euro), una mossa che colma parte del gap con le quotate. La scelta dei due istituti veneti non è una mossa isolata, visto che anche altre realtà di dimensioni inferiori hanno scelto di muoversi in questa direzione.

Già lo scorso anno la piccola Banca Popolare di Marostica (7 mila soci e una cinquantina di sportelli tra Vicenza, Padova e Treviso), poi convolata a nozze con l’altoatesina Volksbank, aveva drasticamente tagliato il valore dell’azione, portandolo da 94 a 74 euro, un valore che incorporava ancora un discreto premio sul patrimonio netto. Le cose non sono andate molto meglio per gli azionisti della Banca Popolare di Cividale (circa 15 mila soci e 75 filiali tra Friuli e Veneto), dove quest’anno i titoli saranno svalutati del 20%, scendendo da 24,5 a 19,6 euro. Anche per l’istituto presieduto da Graziano Tilatt la rettifica è stato un passo impegnativo, visto che dal 2002 a oggi il titolo si è apprezzato del 75,5% senza mai cedere terreno.

 

Dietro queste decisioni c’è certamente la regia della Vigilanza, soprattutto per gli istituti passati sotto la supervisione della Banca Centrale Europea. Le nuove valutazioni permetteranno infatti di colmare il gap che negli anni della crisi si è creato tra banche quotate e non quotate. Oggi in Piazza Affari le banche hanno in media un price/book value di poco superiore a 0,7, nonostante il +22,27% messo a segno dal Ftse Italia Banche nell’ultimo semestre.

Va da sé comunque che le nuove valutazioni delle non quotate incorporano ancora un discreto premio sul patrimonio. Veneto Banca ad esempio ha portato il rapporto a 1,28, un dato in linea con l’1,2 della Popolare di Vicenza. A premio quota anche l’altra cooperativa non quotata finita sotto la Vigilanza della Bce, cioè la Popolare di Bari. I 103 milioni di azioni dell’istituto pugliese guidato da Vincenzo De Bustis e presieduto da Marco Jacobini quotano oggi a 9,53 euro l’una, con un price/book value intorno a 1,09. Poco al di sopra di questo livello si colloca la Popolare dell’Alto Adige (Volksbank), l’istituto presieduto da Otmar Michaeler e guidato da Johannes Schneebacher protagonista dell’acquisizione di Banca Marostica. I titoli dell’istituto altoatesino quotano oggi 19,55 euro, con un rapporto tra valore e patrimonio dell’1,17%. Ancora maggiore è il premio incorporato dai titoli di Banca Valsabbina, oltre 30 mila soci concentrati soprattutto nella provincia di Brescia. Le azioni dell’istituto presieduto da Ezio Soardi e guidato dal direttore generale Renato Barbieri hanno un valore unitario di 18 euro, con un rapporto capitalizzazione/patrimonio dell’1,62. Ancor di più valgono le azioni della Banca Popolare di Lajatico che oggi toccano i 48,15 euro, 16 volte il prezzo di un titolo Intesa Sanpaolo .

Se insomma la quotazione a premio è la regola, non va dimenticato che alcune banche non quotate sono in linea con le valutazioni espresse da Piazza Affari. È questo il caso dei due istituti pugliesi, la Banca Popolare di Puglia e Basilicata e la Banca Popolare Pugliese, che hanno oggi un rapporto capitalizzazione/patrimonio netto rispettivamente a 0,90. Stesso discorso vale anche per le spa non quotate come Banca delle Marche e Cassa di risparmio di Ferrara, anche se va considerato che entrambi gli istituti sono oggi in amministrazione straordinaria.

Se insomma le banche non quotate hanno smesso di essere un rifugio sicuro per i cassettisti, in molti ritengono che le svalutazioni fatte in questi mesi potrebbero facilitare le aggregazioni. Gli occhi sono ovviamente puntati sui due istituti di maggiori dimensioni, Bpvi e Veneto Banca. Si sa infatti che i due gruppi stanno sondando l’eventualità di un’integrazione in vista del cambio di governance imposto dalla riforma Renzi-Padoan. L’opzione numero uno resta un matrimonio sull’asse Vicenza-Montebelluna, ma non si può escludere l’intervento di banche quotate come la Bper. In quest’ultimo caso i valori più realistici delle azioni potrebbero favorire la definizione dei concambi, aggirando quello che finora è stato l’ostacolo principale a un’operazione di questo genere. (riproduzione riservata)