di Paola Valentini

Con una punta di rammarico il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha snocciolato nella sua intervista di Pasqua i numeri dei risparmi privati degli italiani. Che negli ultimi due anni, ha detto il premier, sono passati da 3.500 a 3.900 miliardi di euro. Le famiglie hanno messo da parte 400 miliardi anziché spenderli, come vorrebbe il capo del governo, perché, spiega Renzi, terrorizzati dall’economia e dalla politica.

Ma, si può aggiungere, sono rimasti spaventati anche dai mercati finanziari visto che gran parte di quei capitali sono rimasti parcheggiati soprattutto nei conti correnti, nei conti dei deposito e nei titoli di Stato. Una mancanza di fiducia verso gli investimenti finanziari che è costata cara agli investitori, perché chi avesse negli ultimi anni esposto anche una piccola porzione del proprio capitale a un rischio maggiore avrebbe ottenuto ritorni anche a doppia cifra. E oggi con i tassi tenuti schiacciati vicino allo zero o addirittura sotto dalle banche centrali, tenere i soldi parcheggiati comporta un costo. Bank of America stima in 5.300 miliardi di dollari l’ammontare del debito governativo dei Paesi sviluppati oggi scambiato a rendimenti negativi. Dal canto loro le borse continuano a marciare a passo spedito, a partire da Piazza Affari che negli ultimi giorni è tornata ai livelli toccati nell’ottobre 2008, all’inizio della crisi finanziaria partita con il crac di Lehman. 
Questa ripartenza dei mercati azionari sta facendo tornare l’appetito per il rischio. Soprattutto, i risparmiatori che per anni si sono tenuti lontani dei fondi stanno cominciano a guardare con rinnovato interesse a questi strumenti. Che dalla loro oggi possono vantare performance di sicuro interesse rispetto a mini tassi dei depositi bancari e dei titoli di Stato. Una conferma arriva dall’ultimo Osservatorio sui Risparmi delle famiglie italiane di Prometeia-GfK Eurisko: «La politica monetaria della Bce, con i tassi d’interesse al minimo storico, ha fatto diminuire drasticamente il numero dei Bot People: i titoli di Stato e bancari sono tornati sotto i livelli del 1999 mentre la quota di prodotti di risparmio gestito è ritornata ai volumi del 2005». Prendendo più rischi ci sono speranze di avere di più, ma in molti casi le incognite cui ci si espone sono difficilmente gestibili da parte del risparmiatore privato. Ecco perché sempre più sottoscrittori scelgono la strada dei fondi. I migliori, grazie all’abilità dei money manager che li gestiscono, riescono a battere i mercati e a cavalcare la volatilità, che è tornata in modo prepotente sui mercati, complici le difficoltà macroeconomiche, senza oltretutto avere più il cuscinetto delle banche che per anni hanno rappresentato un potente ammortizzatore dei rischi sui mercati. 
Per questo MF-Milano Finanza ha chiesto alla società di analisi inglese Citywire di individuare i primi cinque gestori che hanno generato, in ciascuna delle dieci categorie considerate, i rendimenti più alti nei tre anni compresi tra fine febbraio 2012 e fine febbraio 2015 grazie a un’asset allocation che ha loro permesso di navigare attraverso la crisi dell’euro fino alla ripresa superando gli alti e bassi di un mercato che nel periodo è stato storicamente tra i più volatili della storia. Ne è uscita una selezione di money manager a portata degli investitori italiani in base al total return conseguito e suddivisi in dieci specializzazioni (azionari Italia, azionari Europa, azionari America del Nord, azionari Giappone, azionario Paesi emergenti, azionario globale, bilanciati flessibili, obbligazionari dollari, obbligazionari Paesi emergenti e obbligazionari globali).

Le classifiche di Citywire identificano i money manager con il miglior track record in un settore mostrando inoltre i fondi che questi gestiscono, e sono basate sul total return di ciascun gestore. Questo è calcolato attraverso la performance mensile cumulata dei fondi gestiti. Nel caso un manager gestisca due o più fondi nello stesso settore, viene considerata la media dei total return dei fondi seguiti. Se ci sono interruzioni di carriera, quando un gestore ritorna a gestire un fondo nello stesso settore, per l’intervallo di tempo in cui non è stato attivo, viene considerata la media del total return dei manager del settore considerato. L’inizio del periodo di gestione deve essere antecedente o coincidente con l’inizio del periodo considerato e il manager deve gestire il fondo per tutta la durata dello stesso periodo. I co-gestori sono considerati equamente responsabili della performance del fondo e consequentemente il total return è attribuito a ciascuno di essi singolarmente. Citywire calcola mensilmente anche un rating (da A a AAA) sulla base della performance triennale dei gestori in base al rischio. In Italia vengono analizzate le performance di oltre 3 mila gestori che gestiscono oltre 4 mila fondi registrati per la vendita. Nelle tabelle sono riportati anche i rating che ogni gestore ha ottenuto. Ecco allora le mosse e le performance di questi top performer a partire da Piazza Affari.

Al top nelle azioni italiane. Nei fondi azionari italiani, una categoria che grazie allo sprint di Piazza Affari vede di nuovo una raccolta netta in crescita, spicca con un rendimento a tre anni del 99,2% il fondo High Growth di Lemanik Asset Management (con sede a Lugano) gestito da Massimo Trabattoni. Il comparto ha battuto tutti i concorrenti, e la media dei gestori di questo comparto è stata nel periodo del 60,3%. E il mercato italiano continuerà il suo recupero. Per gli esperti di Lemanik «sono tre i fattori principali che consentiranno al mercato italiano di beneficiare dell’interesse degli investitori, colmando il gap rispetto alle altre principali piazze europee». In primo luogo, la società cita il basso prezzo del petrolio, a seguire, l’indebolimento della moneta unica, che favorisce le esportazioni, infine, ma non meno importante, la marcata discesa dei rendimenti dei titoli pubblici, che comporta minori interessi da pagare per lo Stato. «A tutto questo si può aggiungere il completamento e l’attuazione delle riforme strutturali del governo italiano». Dal lancio, nel febbraio 2007, il fondo ha guadagnato il 31,44%, con l’indice Ftse Mib a -47,87%. «L’attuale approccio gestionale», conclude Lemanik, «è comunque improntato all’evoluzione di breve del mercato. Di conseguenza, restiamo vigili per valutare eventuali prese di profitto». Tra i principali titoli in portafoglio del fondo a fine febbraio figuravano Fca, Unipol privilegiate e Intesa Sanpaolo risparmio.

Fuoriclasse in Europa. Passando all’azionario Europa, a svettare con un +93,2% a tre anni, a fronte del +57,3% della media dei money manager di questa categoria, è Jonathan Brown alla guida del fondo Invesco Pan European Focus Equity del gruppo inglese Invesco, co-gestito dal lancio nel luglio del 2011 insieme a Erik Esselink, John Surplice, e Martin Walker. «La ripresa in Europa è reale, sostenuta dalla politica monetaria della Bce soprattutto attraverso il Qe, ma non solo», spiegano i gestori di Invesco. Infatti, il timore del rischio sistemico associato all’Eurozona «si è notevolmente affievolito, mentre il sistema finanziario è meglio capitalizzato di prima. Infine, le recenti riforme strutturali fanno ben sperare per il futuro. Resta tuttavia l’incertezza politica che sta portando volatilità nei mercati europei», concludono i money manager di Invesco. Che a livello europeo danno più peso in portafoglio ai titoli finanziari, dell’energia, dei Paesi periferici e ai settori sensibili ai cambiamenti dell’economia. Dal lancio, quasi quattro anni fa il comparto ha reso l’84% contro il 55% del suo indice di riferimento. Le prime tre posizioni del fondo a fine febbraio erano in Novartis, Intesa Sanpaolo e Airbus.

Regina di Wall Street. Samantha McLemore, co-gestore con tripla A del fondo Opportunity Fund della società Legg Mason, basata a Baltimora negli Usa, conquista lo scettro a Wall Street con una performance triennale del 155,4%, più del doppio rispetto al +77,4% messo a segno in media dai colleghi. McLemore si prepara a un prossimo aumento dei tassi negli Usa. «Nonostante permanga incertezza su quando la Fed aumenterà i tassi d’interesse, il primo rialzo potrebbe scatenare nell’immediato una correzione del 10%, come già avvenuto nei cicli precedenti», prosegue McLemore. «Abbiamo in portafoglio una combinazione di società solide, a elevata capitalizzazione e molto economiche sul piano delle valutazioni, come Apple o Qualcomm, e titoli che hanno sottoperformato nell’ultimo anno, ma che riteniamo abbiano un maggiore potenziale di crescita come Amazon o Pandora Media».

Giappone senza segreti. Nell’equity giapponese al primo posto figura Rupert Kimber, gestore del fondo Tiburon Taiko specializzato in azioni quotate a Tokyo con un rendimento del 107,7%, più del doppio del 50,8% della media dei gestori. Sostenuta dalle politiche monetarie espansive della Bank of Japan, la borsa del Sol levante è in rally dal gennaio del 2013 ed è tornata ai massimi dal 2000 con il Nikkei che è risalito a 20 mila punti. Kimber, che è partner di Tiburon, società di gestione con sede a Londra, gestisce il fondo dall’avvio nel 2009 quando il mercato azionario giapponese si stava per lasciare alle spalle una profonda crisi. «In quell’anno abbiamo lanciato una strategia di investimento in azioni giapponesi con la sorpresa di molti operatori di mercato» racconta Kimber, che ha lavorato diversi anni in Giappone per Cazenove. «L’attuale tasso di cambio sta permettendo alle multinazionali del Paese di tornare a guadagnare posizioni competitive. Intanto l’industria sta vivendo un processo di consolidamento che porterà benefici importanti alle aziende. Queste tendenze sono scontate dagli investitori, che guardano agli utili di breve termine, ma concentrando l’attenzione sul lungo termine, gli investitori dovrebbero aspettarsi ancora rendimenti significativi», afferma Kimber.

Campioni emergenti. Il terzetto di Ram Active Investments, composto dal fondatore e ceo Thomas de Saint-Seine, e dai partner Maxime Botti e Emmanuel Hauptmann, hanno realizzato nel triennio un rendimento del 45,3% con il fondo Emerging Markets Equities, specializzato nelle borse dei Paesi in via di sviluppo e pluripremiato negli scorsi anni in diversi Paesi europei per la qualità della gestione. Il fondo della società di gestione basata a Ginevra è stato avviato nel luglio del 2009 e da allora la classe in dollari ha reso il 95% rispetto al 33,6% dell’indice Msci Emerging Markets, pari a un rendimento annuo superiore al 12%. I gestori scommettono anche sulle valute. Il portafoglio del fondo (dati a fine febbraio) è esposto per il 21,8% al dollaro di Taiwan e al 13% a quello di Hong Kong. Mentre Indonesia, Repubblica Ceca e Filippine sono i Paesi più rappresentati nel comparto.

Giramondo vincente. Johan Utterman, gestore del fondo azionario globale Golden Age di Lombard Odier Investment Managers si aggiudica con un rendimento del 96,8% il primo posto nelle classifiche Citywire dei migliori gestori a tre anni nell’equity internazionale, battendo la media di categoria che si ferma al +58,3%. Dal lancio nel novembre del 2009, il comparto ha reso l’81,8%. Il fondo di Utterman ha un approccio diverso rispetto ai tradizionali comparti azionari internazionali perché ha una politica di tipo tematico che punta sui settori legati ai consumi degli over 55. Un filone legato quindi all’invecchiamento della popolazione cavalcato da Utterman selezionando azioni in tutto il mondo. A partire dai mercati sviluppati, dove «gli over 65 crescono a una velocità tripla rispetto alle nuove generazioni. E chi va in pensione oggi, generalmente gode di una discreta disponibilità finanziaria grazie ai buoni risultati dei mercati negli anni 80 e 90», spiega il gestore ricordando che entro il 2050 ci saranno 2 miliardi di ultrasessantenni, circa un quinto della popolazione totale. «E per la fine del decennio, si prevede che la capacità di acquisto di questa categoria raggiunga i 15 mila miliardi di dollari. Ma le opportunità sono interessanti già oggi. Per esempio, negli Usa il 70% del reddito disponibile è nelle mani di over 50», avverte Utterman.

Il gestore ritiene quindi che le società orientate a soddisfare i bisogni dei baby boomers, ovvero la generazione nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, e degli anziani in generale abbiano buone potenzialità per una crescita sostenibile e superiore alla media del mercato. «Anche il settore tecnologico ha buone potenzialità per beneficiare dell’invecchiamento della popolazione, e guardiamo con attenzione la robotica o i crescenti investimenti di Google in progetti legati alla salute», conclude Utterman.

Dove la flessibilità premia. I fondi flessibili sono oggi in cima alle preferenze degli investitori italiani perché dovrebbero consentire di esporsi ai rischi con una volatilità sotto controllo. I comparti di questa categoria sono molto eterogenei quanto a stile e strategie di gestione. Si spiega così la rilevante distanza tra la performance media a tre anni dei manager di questa specializzazione (18,4%) e il total return (62,4%) dei primi della classe, ovvero Didier Bouvignies, responsabile con Philippe Chaumel del fondo R Club di Rothschild & Cie gestion, società di gestione parigina. «Il portafoglio di R Club continua a essere investito all’80% in azioni e al 20% in obbligazioni», spiega Bouvignies.

Per Bouvignies e Chaumel sono eccessivi gli attuali timori di deflazione nell’Eurozona, una delle principali preoccupazioni degli investitori. «Nei prossimi mesi prevediamo piuttosto un aumento dei prezzi al consumo, alla luce del miglioramento della situazione economica europea e dell’incremento dei prezzi all’importazione» spiega Bouvignies. E i due money manager preferiscono le borse dell’Europa perché «con un rapporto prezzo/utili a 15,1, rispetto al 17,4 degli Stati Uniti e al 14,6 del Giappone, e un rendimento del 3%, le azioni europee presentano ancora un premio per il rischio interessante se confrontate con gli attivi delle altre regioni geografiche, ovvero l’8% nell’Eurozona rispetto a 5,1% sull’altra sponda dell’Atlantico». I gestori mantengono «un peso maggiore in portafoglio sulle banche francesi e italiane come Société Générale, Bnp Paribas e Intesa Sanpaolo».

Sull’onda del biglietto verde. I fondi specializzati sulle obbligazioni in dollari permettono di guadagnare anche sfruttando il movimento della valuta Usa contro l’euro. Ed è anche grazie al rafforzamento del biglietto verde che Anthony Smouha, gestore tripla A del fondo Star Credit Opportunities di Gam, società di gestione di Zurigo, ha messo a segno negli ultimi tre anni una performance del 70,2%, battendo di gran lunga il 27,1% medio di categoria. Per il money manager adesso si aprono tempi complicati viste le incognite sulle intenzioni della Fed in materia di tassi. «Per qualche tempo abbiamo posizionato il fondo in previsione di una loro normalizzazione. Ci avvantaggiamo anche dei bond a tasso fisso e variabile, quelli la cui cedola è fissa fino alla prima data utile di rimborso tra i 5 e i 10 anni e poi è ridefinita sulla base di un obbligazione a tasso variabile. Ciò limita la nostra esposizione a un aumento dei rendimenti», spiega il gestore.

Le sfide dei titoli emergenti. Nell’obbligazionario dei Paesi emergenti, un’asset class che in molto guardano con interesse oggi come alternativa ai risicati rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi occidentali, svetta Luc D’Hooge con il fondo Vontobel Emerging Markets Debt che ha realizzato in tre anni un total return del 38%, mentre la media dei gestori si è fermata al 24,8%. Tra i Paesi preferiti da D’Hooge c’è il Messico che vanta oggi «grandi potenzialità grazie alla riforme strutturali in corso, e crediamo che abbia sofferto molto per la recente correzione del prezzo del petrolio». L’esperto di Vontobel, al contrario, non è molto esposto sulla Russia.

Super rating nelle obbligazioni. Sono sbarcati da un mese in Italia i fondi della gamma H2O (società del gruppo francese Natixis Global Asset Management), che ha lanciato sul mercato italiano quattro comparti a metà tra investimenti tradizionali e alternativi. Tra questi c’è anche il fondo gestito dal money manager con rating tripla A Bruno Crastes (che è anche ad di H2O): è l’H2O MultiBonds. Crastes, che ha un total return del 118,8% contro il 19,6% della media dei gestori, sul mercato obbligazionario mantiene «una posizione lunga su Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna rispetto ai Bund e ai titoli di Stato francesi. Sul mercato valutario, siamo ancora lunghi sul dollaro americano rispetto a euro, yen e valute emergenti, e sulle valute legate al petrolio, come corona norvegese contro euro e rublo contro dollaro americano. Mentre siamo corti sulle valute dei mercati emergenti come real brasiliano, peso cileno, rand sudafricano», avverte il gestore. «Abbiamo un’esposizione limitata ai mercati del credito dei Paesi emergenti, in larga parte sulla Russia», conclude Crastes. (riproduzione riservata)