Non è revocabile in dubbio, alla stregua del dominante indirizzo della giurisprudenza di legittimità e di merito, la legittimità e la validità di siffatta clausola, comunemente denominata claims made o “a richiesta fatta” (in virtù della quale l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato dalle conseguenze dannose dei fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipula, se per essi gli sia pervenuta una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato durante il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione e ciò diversamente dall’ordinario schema, denominato loss occurrance e legato alla data di insorgenza dell’evento lesivo, che offre la copertura assicurativa per tutti gli eventi dedotti nel contratto purché si siano verificati nel periodo di vigenza della polizza), attesa la pacifica derogabilità della previsione recata dall’art. 1917, comma 1, c.c.
Ciò sia laddove si voglia accedere all’opzione ermeneutica che la riconduce entro l’alveo di un contratto atipico ex art. 1322 c.c., sia qualora la si ritenga, invece, pienamente compatibile con la fattispecie negoziale tipica delineata dall’art. 1917 c.c. (in tal senso, argomentando dal rilievo che la clausola non altera l’oggetto del contratto, costituito pur sempre dal fatto illecito dedotto in polizza, ma si limita a circoscrivere sul piano temporale l’operatività dell’obbligazione di garanzia ricadente sull’assicuratore, cfr. Trib. Milano, sentenza n. 3527/10; Corte di Appello Roma n. 312/12).
In ordine al carattere eventualmente limitativo della responsabilità dell’assicuratore della clausola ed alla conseguente assoggettabilità, pure adombrata dalla parte convenuta, della medesima alla disciplina recata dall’art. 1341, comma 2, c.c., va in generale ricordato che, alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la clausola in esame non è di per sé limitativa della responsabilità ex art. 1341 c.c., dipendendo detto effetto semmai dalla sua concreta configurazione e dallo specifico contenuto che le parti abbiano inteso attribuirle, il cui apprezzamento è rimesso al giudice di merito (cfr. Cass. civ., n. 5624/05: una clausola contrattuale può essere ricompresa tra quelle che stabiliscono limitazioni di responsabilità a favore di colui che l’ha predisposta a condizione che essa restringa (ad es. sotto il profilo quantitativo, spaziale o temporale) l’ambito di responsabilità così come fissato, con più ampia estensione, da precetti normativi; cfr. altresì Cass. civ., n. 5390/97: non possono, pertanto, qualificarsi vessatorie quelle clausole che abbiano, per contenuto, una mera determinazione della effettiva estensione delle reciproche prestazioni dedotte in obbligazione).
Sotto detto profilo va osservato che nella prassi dei rapporti negoziali suole distinguersi tra clausole claims made pure (che si limitano ad ancorare l’ambito temporale di validità della garanzia alla data di presentazione della richiesta di indennizzo, senza alcuna altra limitazione diversa da quella eventualmente derivante dalla prescrizione del diritto al risarcimento del terzo danneggiato) e miste (che introducono ulteriori limitazioni, ad esempio escludendo gli eventi dannosi verificatisi oltre una certa soglia temporale, ad esempio oltre i due o tre anni precedenti alla stipulazione della polizza, così riducendo il lasso di tempo – altrimenti decennale, fino al decorso della prescrizione – entro il quale rimane fermo l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato).
A ben vedere, non può dirsi che le clausole del primo tipo introducano una limitazione della responsabilità dell’assicuratore a svantaggio dell’assicurato.
Ed invero, nel regime ordinario ex art. 1917 c.c. (contratto cd. loss occurrence), l’assicurato copre la propria responsabilità in relazione ai rischi che si verificano durante il periodo di efficacia della polizza ma può far valere tale copertura assicurativa (relativa al fatto commesso durante il periodo di efficacia della polizza, di solito annuale) fino al termine di prescrizione del diritto del terzo di proporre una richiesta di risarcimento danni.
In presenza della clausola claims made c.d. pura, invece, l’assicurazione copre le richieste di risarcimento del danno pervenute all’assicurato nel periodo (di regola annuale, sì come nel caso di specie) di efficacia della polizza, ma relativamente a tutti i rischi (dedotti in polizza) verificatisi nel decennio precedente, cioè fino al momento in cui esso assicurato potrà ritualmente eccepire la prescrizione del diritto del danneggiato di chiedere il risarcimento del danno.
Può, pertanto, ravvisarsi una sostanziale equivalenza tra le due ipotesi in esame (contratto cd. loss occurrence e con clausola claims made cd. pura) sotto il triplice profilo dell’alea contrattuale, della valutazione del rischio assicurato e dell’equilibrio nel rapporto sinallagmatico tra le parti, operando sostanzialmente la garanzia per qualunque tipologia di evento riconducibile alle fattispecie descritte nel contratto e per un analogo ambito temporale (corrispondente al periodo in relazione al quale il terzo danneggiato può fare valere il proprio diritto al risarcimento del danno), alla sola condizione (non dipendente dall’assicurato né dall’assicuratore, bensì dall’iniziativa dello stesso terzo danneggiato) che la richiesta risarcitoria pervenga all’assicurato nel periodo di validità della polizza: talora, anzi, potrebbe essere addirittura più vantaggioso per l’assicurato stipulare la polizza contenente la clausola claims made (si pensi all’ipotesi in cui rassicurato sia in tutto o in parte privo di copertura assicurativa per i fatti illeciti eventualmente posti in essere in epoca anteriore alla stipulazione della polizza).
Ne consegue che una clausola siffatta deve ritenersi valida ed efficace a prescindere dal fatto che essa sia stata sottoscritta separatamente e per iscritto ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c.
Orbene, ritiene questo Tribunale, in accordo con la linea interpretativa della più recente giurisprudenza di merito (ed espressa, con dovizia di argomentazioni, dal Tribunale di Milano con la citata sentenza n. 3527/10) che siffatta clausola sia legittima, valida ed efficace pur in assenza di specifica sottoscrizione: essa non può, infatti, ascriversi al novero delle pattuizioni contemplate dall’art. 1341, comma 2, c.c., non implicando una limitazione della responsabilità dell’assicuratore tale da incidere sull’assetto di interessi disciplinato dal contratto di assicurazione in guisa da determinare una significativa alterazione dell’equilibrio del rapporto sinallagmatico a solo vantaggio dell’assicuratore, bensì unicamente a delimitare l’oggetto della garanzia prestata sotto il profilo temporale (in ordine alla distinzione tra clausole limitative della responsabilità e clausole di specificazione dell’oggetto del contratto, cfr. Cass. civ., n. 10619/12: in detta pronuncia il Supremo Collegio, nell’affermare, con specifico riferimento al contratto di assicurazione, la non assoggettabilità al regime previsto dall’art. 1341, comma 2, c.c. di una clausola negoziale che prevedeva il contenimento della durata della garanzia ad un tempo inferiore rispetto a quello della prescrizione dell’azione risarcitoria eventualmente intentata nei confronti dell’assicurato – e, dunque, ben una delimitazione del rischio garantito ben più incisiva rispetto a quella derivante da una clausola claims made pura – ha ribadito il principio secondo il quale sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., solo quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito mentre attengono all’oggetto del contratto, e non sono
, perciò, assoggettate al regime previsto dal comma 2 di detta norma, le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito.
Tribunale di Palermo, sez. I Civile, 26 novembre 2014 n. 5828