I dati sul credito mostrano miglioramenti nei flussi, ma il credit crunch non è superato. Lo stock di sofferenze è destinato a salire. E sugli istituti ora incombono nuove strette patrimoniali

di Francesco Ninfole

Nel settore del credito lo scenario è da tempo contrastato. La Bce sostiene le banche con ampia liquidità e il contesto economico è in lieve ripresa. Tuttavia le banche sono frenate dal timore di strette patrimoniali e dall’elevato ammontare di sofferenze e crediti deteriorati, ancora in crescita negli ultimi mesi.

Poi ci sono i fattori legati alla domanda delle imprese, che nei prossimi mesi potrebbe riprendersi ma per ora resta limitata dalle basse prospettiva di crescita economica.

Questi elementi di segno opposto si riflettono perciò negli ultimi dati pubblicati sui prestiti da Bankitalia e Abi. Qualche barlume di ripresa si intravede nei flussi e nelle nuove erogazioni, ma nel complesso la contrazione non si può dire alle spalle, soprattutto se si parla di piccole e medie imprese e si guarda ai dati sugli stock. Secondo i dati dell’ultimo bollettino economico di Banca d’Italia, nel trimestre dicembre-febbraio la variazione del credito al settore privato non finanziario è rimasta negativa (-1,8% su base annua e al netto dei fattori stagionali) e i prestiti alle imprese sono diminuiti del 3% (da -2,2% in novembre), anche a causa «dell’incerto riavvio dell’attività industriale», ha osservato Via Nazionale. Le stesse indicazioni si possono ricavare dai dati relativi al solo mese di febbraio (si veda tabella in pagina). La flessione dei prestiti alle famiglie si è invece quasi arrestata, soprattutto grazie alla ripresa dei mutui.

Il credito si differenzia molto a seconda dei settori e delle dimensioni delle imprese. In particolare, a febbraio la diminuzione annuale dei prestiti alle aziende è stata più marcata nel settore delle costruzioni (-4,7%), che paga una situazione economica sfavorevole e un’elevata incidenza di esposizioni deteriorate. La flessione si è invece stabilizzata su valori di poco superiori al 2% nei servizi e nella manifattura. In tutti i comparti si è accentuato il divario fra la dinamica dei prestiti alle società con almeno 20 addetti (pari a -2,5% a febbraio dal -2,4% di novembre) e quella delle imprese di minore dimensione (-4,7% da -3,3%). La quota di imprese che dichiara di non avere ottenuto il finanziamento richiesto continua a essere maggiore per le aziende di minore dimensione (13,7% contro il 9,5% di quelle con oltre 50 addetti).

Le buone notizie per le piccole imprese sono per il momento sui tassi: in questo ambito si fa sentire maggiormente l’effetto delle T-Ltro della Bce, che offrono denaro alle banche per quattro anni a costo quasi zero (gli istituti italiani hanno ottenuto 93 miliardi di euro nei primi tre rifinanziamenti). Bankitalia ha rilevato che il costo dei nuovi finanziamenti per famiglie e imprese, in continua riduzione nel corso del 2014, ha registrato tra novembre e febbraio scorsi un ulteriore calo di circa 15 punti base, che ha interessato sia le piccole che le grandi aziende. «Secondo valutazioni preliminari, alla fine del 2014 la flessione del costo del credito, che aveva in precedenza riguardato soprattutto le imprese esportatrici e quelle con miglior merito di credito, avrebbe cominciato a estendersi anche agli altri prenditori», ha osservato il bollettino. In febbraio il tasso sui nuovi mutui alle famiglie si collocava al 2,8%, quello sui nuovi prestiti alle imprese al 2,4%. Il differenziale rispetto ai rispettivi tassi medi nell’area dell’euro, dopo aver registrato significative riduzioni nella seconda metà del 2014, è lievemente aumentato sia per le imprese sia per i mutui alle famiglie, a 40 punti base.

Per il momento la corsa dei crediti deteriorati non si arresta. Nel quarto trimestre 2014 il flusso di nuove sofferenze rettificate in rapporto ai prestiti è salito al 2,7%. Alcuni indicatori fanno pensare a una stabilizzazione del dato e, nei prossimi anni, a una riduzione dei flussi. Lo stock di prestiti dubbi è comunque destinato a restare elevato, anche a causa dei lenti tempi di recupero, se non ci saranno misure straordinarie di smobilizzo.

L’enorme quantità di credito deteriorato è il principale freno a nuovi prestiti e il più rilevante fattore negativo per i conti economici. Nel 2014 la redditività media dei cinque maggiori gruppi bancari, pur in leggero miglioramento, è rimasta negativa. Il roe, valutato al netto di componenti non ricorrenti come le svalutazioni sugli avviamenti, è risultato pari a -1,8% (dal -2,4% nel 2013). Le rettifiche su crediti hanno assorbito tutto il risultato di gestione nel 2014, come già accaduto l’anno precedente, anche per tener conto nei bilanci dei risultati dell’asset quality review. Le svalutazioni su prestiti e le conseguenti perdite hanno causato anche una lieve riduzione dei coefficienti patrimoniali: in dicembre il Common equity tier 1 ratio, il Tier 1 ratio e il Total capital ratio medi dei cinque maggiori gruppi si sono attestati rispettivamente all’11,4, al 12 e al 14,8%.

Sui nuovi flussi però l’Abi ha segnalato una ripresa: nel trimestre dicembre 2014-febbraio 2015 i nuovi finanziamenti alle imprese sono aumentati del 7,6% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente (dicembre 2013-febbraio 2014). Lo stesso valore per i mutui è arrivato al +42% e per il credito al consumo al +9,5%. La sensazione è quindi di un settore bancario che prova ad aumentare i prestiti ma senza riuscire a farlo in modo significativo, anche a causa di molti vincoli che persistono. Su alcuni di questi come noto sta lavorando il governo, che sta studiando non solo un veicolo di smobilizzo ma anche misure fiscali e concorsuali. Per il momento tuttavia non si vede una crescita del credito che possa aiutare l’economia a uscire da una ripresa da zero virgola. Per far ripartire i prestiti servirà uno sforzo da parte di tutti i soggetti coinvolti: banche, imprese, regolatori e governo. Il rischio è non sfruttare appieno l’occasione del Quantitative easing e delle T-Ltro della Bce di Draghi. (riproduzione riservata)