di Benedetta Pacelli 

 

Braccio di ferro tra governo e regioni sulla responsabilità patrimoniale dei medici. L’emendamento alla manovra sulla sanità, voluto dalle autonomie locali, che prevede la decurtazione dello stipendio per i camici bianchi che prescrivono esami inappropriati, incassa il no del ministro della salute Beatrice Lorenzin.

E nello stesso tempo manda su tutte le furie le rappresentanze sindacali dei medici che hanno organizzato, in tutta fretta, una conferenza stampa oggi a Roma per illustrare le ricadute concrete che deriverebbero dall’approvazione di questa norma sui cittadini e sul Servizio sanitario nazionale. Oggetto della disputa, l’emendamento più volte modificato (nella prima versione si prevedeva che a pagare fosse il cittadino) inserito nella bozza d’intesa finalizzata a individuare «Misure di razionalizzazione e di efficientamento della spesa del Servizio sanitario nazionale» che stabilisce che «qualora dal controllo risulti che un medico abbia prescritto una prestazione senza osservare le condizioni e le limitazioni citate», l’azienda sanitaria locale od ospedaliera, dopo avere richiesto le ragioni della mancata osservanza, e qualora queste siano «insoddisfacenti», può adottare dei provvedimenti che possono tradursi o nella «riduzione del trattamento economico accessorio per il personale medico dipendente del Servizio sanitario nazionale» o degli «incentivi legati al raggiungimento degli obiettivo di qualificazione». Il punto di partenza delle norma spinta dalle regioni è chiaro: l’emorragia economica che deriva da tutti gli esami e le prescrizioni inutili che i camici bianchi prevedono per mettersi al riparo da eventuali contenziosi. Quel fenomeno della cosiddetta medicina difensiva che costa all’intero servizio sanitario nazionale circa 13 miliardi di euro ogni anno. Un fenomeno ben noto al ministro Lorenzin che, solo qualche settimana fa, aveva annunciato l’intenzione di correre ai ripari ma non con una norma di questo tipo sulla quale il titolare della sanità aveva già ribadito il suo diniego. E la protesta è arrivata immediata anche dalle rappresentanze di categoria, a partire dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) che esprime «una forte preoccupazione e contrarietà sui contenuti del documento pur nella consapevolezza della necessità di promuovere il valore dell’appropriatezza, così come è presente nel codice deontologico ed elemento fondante di equità e sostenibilità anche economica del nostro Ssn». A esprimere contrarietà sono poi le sigle sindacali (Anaao-Assomed, Fimmg, Fimp, Sumai-Assoprof, Cimo) che si riuniranno oggi a Roma in conferenza stampa. «Assistiamo increduli e preoccupati a una serie di azioni promosse dalle regioni che mirano a mettere in pericolo l’efficienza del Ssn e la fiducia dei cittadini verso medici ed istituzioni» dice Giampietro Chiamenti, presidente della Federazione italiana medici pediatri, mentre aggiunge Roberto Lala Sumai-Assoprof «siamo ormai alla totale deresponsabilizzazione delle istituzioni che fanno ricadere le inefficienze organizzative e strutturali della sanità su chi, invece, si prende realmente cura tutti i giorni della salute dei cittadini». L’emendamento, rincarano la dose invece i medici di famiglia (Fimmg) «comporterà effetti devastanti sul diritto alla salute dei cittadini, fino anche a vanificare il dettato dell’art. 32 della Costituzione». La speranza del ministero Lorenzin è che comunque giovedì 23 in conferenza stato-regioni si raggiunga l’accordo mancato la settimana scorsa.