di Mauro Romano

Cdp non fa sconti a Sace. Ieri il gruppo assicurativo che fa capo alla Cassa Depositi e Prestiti ha comunicato che l’assemblea, riunitasi in mattinata, ha deliberato un dividendo di 280 milioni, pari al 73% dei 383 milioni di utile 2014. L’assise dei soci ha dato via libera anche al bilancio dell’ultimo esercizio, che a livello consolidato ha evidenziato profitti netti per 470 milioni (+36% rispetto al 2013), su un portafoglio di operazioni assicurate pari a 74 miliardi complessivi.

La cedola che il gruppo guidato dall’amministratore delegato Alessandro Castellano dovrà staccare è più bassa in percentuale di quelle degli anni passati, che si aggiravano attorno al 90% dell’utile, ma comunque molto distante rispetto alle intenzioni del management della società.

Nelle indicazioni sul «nuovo piano industriale 2015 revised e sulle linee evolutive 2016-2017» anticipato da MF-MilanoFinanza a metà febbraio, infatti, il payout era indicato al 50%. Una previsione che, in vista dell’ipotesi di quotazione in borsa del gruppo, inserito dal Tesoro tra le società da privatizzare nel triennio 2015-2018 anche nell’ultimo Def, avrebbe portato la società ad allinearsi alle prassi di mercato. Ma evidentemente l’azionista Cassa Depositi e Prestiti al momento non sembra considerare una priorità l’ipo della controllata. D’altronde, pur mantenendo in mano saldamente il 100% di Sace, la controllante Cdp, che ha acquisito il gruppo assicurativo dal ministero dell’Economia nel 2012, ha già incassato ben 2,5 miliardi. A questa cifra si arriva sommando dividendi ordinari e straordinari, inclusi i quasi 800 milioni di riduzione del capitale di Sace, deliberata alla fine dell’anno scorso. Un’operazione, quest’ultima, che è stata pressoché contestuale all’emissione di un bond ibrido perpetuo da 500 milioni.

Peraltro, dopo le polemiche dei mesi scorsi tra controllata e controllante, pare che quest’ultima non abbia intenzione di lasciare a Sace il compito di mettere in piedi una Export Banca, come era stato invece previsto in un primo momento dal decreto Investment Compact. Quel provvedimento nella sua forma originaria prevedeva infatti che lo strumento per favorire la crescita all’estero delle aziende italiane fosse realizzato e gestito proprio da Sace. Ma tale modalità non è affatto piaciuta a Cdp, cui è stata riassegnata la titolarità del dossier dopo le modifiche avvenute in Parlamento nell’iter di conversione del decreto legge, pur mantenendo la previsione che la Cassa potesse scegliere di farlo proprio tramite la controllata.

Peccato che nel frattempo Cassa Depositi e Prestiti abbia messo sul piatto ben 15 miliardi di euro per questo tipo di finanziamenti alle imprese tramite il sistema Export Banca, dunque addirittura più dei 10 miliardi inizialmente previsti. Insomma, anche questa partita, che avrebbe potuto dare impulso alla quotazione in borsa di Sace, al momento sembra bloccata. Mentre al ministero dello Sviluppo Economico si sta ragionando su strumenti che possano essere utili ad aumentare le sinergie tra Sace, Cdp e Simest a favore dell’export. (riproduzione riservata)