di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Il fattore costo fa davvero la differenza nella costruzione della pensione di scorta. Su orizzonti temporali di 30-40 anni, se si opta per un comparto meno oneroso si può ottenere, a parità di rendimenti, un capitale da trasformare in rendita più elevato rispetto ai prodotti più cari.

Un’analisi elaborata da Mefop, società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione, ha mostrato il ruolo determinante delle commissioni: rispetto all’assenza di costi, in 30 anni il montante accumulato risulterebbe inferiore del 14% se la commissione fosse pari allo 0,5% annuo e del 36% se invece la commissione salisse all’1,5%. «Su orizzonti temporali lunghi differenze di un punto percentuale producono significativi effetti negativi sulla prestazione finale, anche dell’ordine del 20%», rincara la Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Significative le stime prospettate dalla letteratura economica americana, secondo cui una crescita di un punto percentuale negli oneri annuali sul patrimonio comporta una riduzione della rendita finale del 27% su di un orizzonte temporale di 40 anni di contribuzione. Non è poco, visto che oggi il ruolo della previdenza integrativa è sempre più rilevante. «Il costo di un fondo pensione rappresenta un tema di grande attualità nel dibattito della previdenza complementare. Oneri elevati riducono sensibilmente i rendimenti maturati, e, di conseguenza, l’importo della prestazione di cui si potrà godere al momento del pensionamento», ricordano Maria Dilorenzo e Antonello Motroni di Mefop, che hanno appena realizzato un’indagine comparativa tra i vari prodotti di previdenza complementare (si veda box in pagina). «Un elevato livello di costi potrebbe inoltre essere interpretato alla stregua di un nuovo tributo, scoraggiando la partecipazione dei lavoratori o incentivando forme di evasione contributiva, in caso di obbligatorietà dell’adesione», sottolineano i due esperti.

E quello della tassazione del risparmio è un tema che gli investitori sono costretti oggi a guardare con attenzione, perché lo Stato da un paio d’anni ha iniziato a inasprire la tassazione delle rendite finanziarie tenendo fuori i fondi pensione, che godono di un trattamento fiscale di favore a partire dall’esenzione dall’imposta di bollo dello 0,2% annuo e dell’imposizione sui rendimenti ferma all’11%. Il tutto mentre il governo punta ad aumentare la tassazione sulle altre rendite finanziarie (titoli di Stato esclusi) dall’attuale 20 al 26%. Il fattore costo può quindi giocare un ruolo fondamentale. E da qualche anno è diventato più facile confrontare i costi dei fondi pensione aperti, dei fondi negoziali e dei piani individuali pensionistici (pip) di tipo assicurativo. La riforma della previdenza complementare del 2005, in vigore dal gennaio 2007, ha infatti equiparato gli schemi pensionistici integrativi, sebbene siano stati lasciati fuori i fondi preesistenti che rappresentano oggi in Italia la maggior parte delle risorse gestite dal mondo della previdenza complementare. I prodotti aperti, negoziali e i pip sono tenuti a calcolare e a pubblicare per ciascun comparto l’Isc (Indicatore sintetico di costo), che misura l’incidenza delle commissioni sull’ammontare della posizione maturata per ciascun anno di partecipazione. L’Isc consente di effettuare un’analisi comparativa tra le diverse offerte previdenziali in quanto è calcolato secondo una metodologia analoga per tutte le forme di nuova istituzione. Milano Finanza ha analizzato gli Isc di tutti i prodotti sul mercato, sulla base degli indicatori pubblicati sul sito Covip e aggiornati al febbraio 2014, per stilare una classifica dei prodotti più economici e di quelli più cari. L’indicatore viene calcolato in base a un’ipotesi di permanenza nel fondo di 2, 5, 10 o 35 anni, con un versamento di 2.500 euro all’anno e un rendimento del 4% annuo e comprende costo di iscrizione, spese annue di gestione e altri oneri, con l’eccezione delle eventuali commissioni di incentivo e degli oneri di negoziazione. Un numero, quello dell’Isc, da non sottovalutare perché misura la riduzione del rendimento percentuale annuo a fronte dei costi gravanti sul sottoscrittore. Come ricorda la formula imposta dalla Covip nelle note informative. «Un Isc dello 0,5% riduce in 35 anni la prestazione finale di circa il 10%, mentre un indicatore dell’1% taglia l’assegno del 20%». Ecco perché, nella scelta del fondo pensione, conviene considerare il fattore costo accanto alle performance, che nel 2013 sono state di tutto rispetto grazie alla ripresa dei mercati. Oggi l’Isc medio a 10 anni dei pip (piani previdenziali individuali) è dell’1,9%, contro l’1,2% degli aperti e lo 0,40% dei negoziali. Su periodi di partecipazione più lunghi i costi scendono, ma le differenze restano: l’Isc dei pip a 35 anni è dell’1,5%, dei negoziali è dello 0,2% e degli aperti è dell’1,1%. La Covip calcola che «questa maggiore onerosità riduce la prestazione finale del 23% nei pip e del 17% negli aperti a parità di rendimenti lordi». Eppure i pip hanno registrano un boom di iscritti: da inizio 2007 a fine 2013, 730 mila nuovi iscritti sono confluiti nei fondi negoziali, 500 mila nei fondi aperti e ben 1,9 milioni nei pip.

 

Il presidente di Covip, Rino Tarelli, sottolinea anche che l’Isc mette in luce differenze di rilievo fra le forme pensionistiche, nonché un’ampia dispersione dei singoli valori all’interno di ciascuna forma. La linea più cara è la Previbrioso del pip Previpiù (polizza non più commercializzata ma aperta ai versamenti soltanto dei vecchi iscritti) di Chiara Vita, che ha un Isc del 3,23% a 35 anni in un comparto che, tra l’altro, nel 2013 ha avuto una performance del 13,89%, pari all’8,02% annuo negli ultimi cinque anni. Anche alcuni fondi pensione aperti sono lontani dalla regola dell’1% che è prassi nella previdenza anglosassone. Anche in questo caso i prodotti più costosi sono quelli azionari. La più cara a 35 anni, con un Isc del 2,27%, è la linea Azionaria del fondo Zed Omnifund di Zurich Life Insurance. Più contenuto è il profilo commissionale dei negoziali, che forti del loro potere contrattuale riescono a spuntare costi inferiori con i gestori. Sempre sui 35 anni spicca la linea garantita di Fopadiva (dipendenti della Valle d’Aosta) con lo 0,55%. Tra i chiusi meno cari figura il comparto dei metalmeccanici Monetario Plus di Cometa (0,08%), non a caso un prodotto di liquidità e quindi meno costoso. Tra gli aperti la linea più economica è la Premium tfr del fondo Conto previdenza di UnipolSai, che ha un Isc dello 0,15% a 35 anni ma prevede una commissione di incentivo non inclusa nell’indicatore. Anche sul fronte delle polizze previdenziali le linee che fanno pagare meno costi sono quelle meno esposte alle borse. (riproduzione riservata)