di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Pensioni sull’orlo di una voragine. Dopo aver detto per mesi che i conti dell’Inps sono in ordine, ora anche il presidente dell’ente, Antonio Mastrapasqua, ha lanciato l’allarme: il patrimonio dell’istituto di previdenza si sta riducendo e permette di coprire le perdite solo fino al 2015. In una lettera riservata inviata ai ministri del Welfare Elsa Fornero e dell’Economia Vittorio Grilli, Mastrapasqua ha detto che bisogna urgentemente intervenire per riportare i conti dell’istituto di previdenza sul sentiero della sostenibilità perché la fusione con l’Inpdap, avvenuta lo scorso anno fa, sta zavorrando il bilancio dell’Inps, mentre lo Stato trasferisce sempre meno soldi per pagare le pensioni e i contributi versati dai lavoratori si assottigliano per la crisi.

Un grido d’allarme che arriva proprio nel momento in cui in cui il governo sta per passare il testimone a un nuovo esecutivo e in una fase di debolezza per l’economia italiana.

 

La riforma varata lo scorso anno proprio dal ministro Fornero non può fare granché nel breve periodo per riportare i conti dell’Inps in ordine. D’altra parte se l’economia non riparte e soprattutto se non aumenta il tasso di occupazione (e quindi i contributi versati), non c’è riforma che tenga. Il beneficio che i conti dell’Inps possono trarre dalla dura riforma Monti-Fornero introdotta a dicembre 2011 non sono sufficienti a colmare il danno procurato dalla crescente disoccupazione.

 

Soprattutto perché il sistema previdenziale italiano non è affatto autosufficiente. Si appoggia su trasferimenti a carico dello Stato che gli garantiscono la possibilità di erogare le prestazioni. Infatti in aggiunta a quanto il fondo pensione dei lavori dipendenti degli artigiani, dei commercianti e dei coltivatori diretti dell’Inps incassa come contributi, per pagare le pensioni private lo Stato trasferisce circa 33 miliardi, in base agli ultimi dati sul 2010 elaborati dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, che non tengono conto delle pensioni Inpdap. Questo in una situazione in cui l’Italia deve stringere la cinghia per rispettare gli impegni presi in Europa per un pareggio di bilancio già da quest’anno. La coperta quindi è corta. Senza dimenticare che lo Stato dovrà anche trovare le risorse per coprire gli esodati non ancora tutelati. Mentre la spesa per prestazioni pensionistiche continua a salire. Nel 2011, secondo gli ultimi dati Istat, è stata di 265,9 miliardi (+2,9% rispetto all’anno precedente), mentre l’incidenza sul pil è cresciuta dello 0,2% circa (da 16,66% a 16,85% ).

Nel 2013 il deficit finanziario dell’Inps è destinato a crescere, nonostante la riforma Fornero abbia messo un freno ai pensionamenti. Quest’anno, in base al bilancio di previsione approvato a febbraio, il buco da finanziare (10,721 miliardi) è di 2,762 miliardi in più rispetto ai 7,959 miliardi previsti per il 2012. A far aumentare il rosso contabile è l’incorporazione dell’ex Inpdap, la cassa di previdenza del pubblico impiego che, assieme all’ex Enpals, con cui nel 2012 è nato il Super-Inps, ha portato in dote conti tutti negativi.

Il motivo è che lo Stato fino al 1997 non versava tutti i contributi dovuti all’ente di previdenza del pubblico impiego, da qui un buco crescente per l’ente che è andato ad allargarsi quando il numero dei pensionamenti è aumentato. Di fatto ogni anno lo Stato deve versare all’Inpdap prima, e ora all’Inps, 10 miliardi per colmare questo debito, oltre ai 20 miliardi destinati alle pensioni private. Quando il Consiglio di Indirizzo e vigilanza dell’Inps, il 26 febbraio, ha approvato il bilancio di previsione dell’Istituto per il 2013 ha sottolineato nella relazione la necessità di sottoporre a un attento monitoraggio tutti i fondi o gestioni amministrati dall’Inps che presentano consistenti disavanzi economici con effetti negativi sul saldo generale del bilancio dell’Istituto. A conclusione della sua relazione il Consiglio ha posto particolare rilievo sulla necessità che i risultati di queste valutazioni siano portati all’attenzione dei ministeri vigilanti per gli eventuali e opportuni interventi correttivi. Così il presidente Mastrapasqua ha scritto ai ministri Fornero e Grilli per avvertire che minori trasferimenti, riduzione dell’avanzo patrimoniale, strutturale contrazione delle entrate contributive della gestione pubblica stanno mettendo a rischio la più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico. La lettera riportata da Il Fatto Quotidiano ha portato alla risposta del ministro Fornero: «Non c`è oggi un problema di sostenibilità del sistema pensionistico pubblico. Invece bisogna far funzionare bene l’Inps. Bisogna realizzare in tempi rapidi questa fusione e poi le cose si mettono a posto. È un’operazione che ritengo sicuramente valida nel lungo periodo». Certo è che dal bilancio previsionale dell’Inps per il 2013 emerge che, per effetto del risultato economico di esercizio, il patrimonio netto dell’Inps al 31 dicembre 2013 è previsto pari a 15,416 miliardi. Nel 2011 il patrimonio netto dell’ente era di 41 miliardi. Il tutto considerano che quest’anno ammontano a 265,8 miliardi le prestazioni previdenziali da erogare contro un incasso in contributi stimato in 213,7 miliardi (al netto dei trasferimento dello Stato).

L’allarme lo lancia da tempo anche Massimo Angrisani, docente alla Sapienza di Roma: «Ho più volte denunciato la mancanza di equilibrio del sistema pensionistico spiegando e documentando le mie affermazioni mediante i bilanci stessi degli enti previdenziali e l’uso di documentazione ufficiale. Ho dimostrato che il sistema pensionistico italiano per pagare le pensioni non utilizza esclusivamente i contributi che incassa, come deve essere per un sistema sano ovvero con i conti in equilibrio, ma ha bisogno di pesanti trasferimenti da parte dello Stato per pagare il conto della spesa pensionistica, trasferimenti aggiuntivi rispetto ai contributi che il sistema incassa e che sono quantificabili in non meno di 40 miliardi l’anno». Secondo Angrisani, tale cifra rappresenta una valutazione per difetto dell’effettiva entità dei trasferimenti che lo Stato effettua e che sono necessari per saldare il conto delle pensioni. In altre parole, per pagare pensioni sono stati necessari non meno di 40 miliardi dei circa 100 che lo Stato nel 2012 ha trasferito all’Inps per assolvere ai compiti istituzionali che includono anche la spesa di carattere sociale e assistenziale. «L’enorme disavanzo attuale del sistema è frutto in primo luogo di un uso spesso sfrontato del sistema pensionistico come strumento politico-elettorale», dice Angrisani. Peraltro, come risulta dai dati Istat, l’importo medio delle pensioni è basso: nel 2011 il sistema pensionistico italiano ha erogato 23,7 milioni di prestazioni pensionistiche con un importo medio unitario pari a 11.229 euro e il 44% dei pensionati riceve meno di 1.000 euro al mese. «Se lo Stato sborsa già tutti questi soldi per pagare pensioni spesso povere, è evidente che ha grandi difficoltà nel trovare le risorse necessarie per sanare il problema degli esodati o di coloro che si trovano alle prese con i ricongiungimenti onerosi», sottolinea Angrisani. «A tale problema si aggiunge l’ormai imminente arrivo nella fascia di età di pensionamento dell’enorme onda demografica conseguente al boom delle nascite del secondo Dopoguerra». Secondo Angrisani, il solo passaggio al sistema contributivo non è in grado di immunizzare gli effetti in termini di spesa del pensionamento della generazione del baby boom. «La modalità tecnica corretta per immunizzarlo consiste nel creare un’adeguata riserva che si doveva e si deve costruire accantonando parte dei contributi delle generazioni del baby boom. Invece, con scarso senso dell’equità intergenerazionale, tutti i contributi versati da tale generazione sono stati e sono tuttora utilizzati per aumentare le pensioni delle generazioni precedenti», avverte Angrisani.

E il tema dell’equità è cruciale quando si ragiona sul sistema previdenziale. Per chi ha iniziato a lavorare da gennaio 1996 la legge ha abolito qualsiasi forma di integrazione pensionistica, per cui se non avranno versato contributi sufficienti resteranno pensionati poveri; con poca pensione ma molto arrabbiati perché chi li doveva informare non lo ha fatto. E questo riporta ancora in luce la necessità di sbloccare il sistema. Le riforme che si sono succedute dal 1992 in poi, compresa l’ultima revisione Monti, hanno certamente messo il sistema sui binari dell’equilibrio di lungo termine. Ma non c’è alcuna riforma che regga se manca lo sviluppo e lo sviluppo viene da un Paese che riesce a fare ripartire la crescita e soprattutto l’occupazione soprattutto in un contesto come quello italiano in cui cresce sempre più il peso dei pensionati rispetto alla popolazione attiva E in cui il 27,8% dei pensionati ha meno di 65 anni in base ai dati Istat. (riproduzione riservata)