di Anna Messia

Ci aveva provato la Commissione Europea a indicare a Sace il modo per evitare infrazioni che coinvolgessero la partecipata Sace Bt. Ma i manager dell’assicuratore del credito, allora partecipato dal Tesoro e ora sotto il controllo di Cdp, hanno preferito andare avanti per la loro strada, convinti di essere nel giusto.

Il tentativo di mediazione, come ricostruito da MF-Milano Finanza, risale al febbraio dell’anno scorso, quando il confronto tra Bruxelles e l’assicuratore del credito italiano, stava per entrare nel vivo e, come noto, si sarebbe poi concluso lo scorso marzo con la condanna da parte della Ue a Sace Bt a restituire alla controllante 70 milioni di euro che potrebbero metterne a rischio la continuità operativa. In discussione c’erano gli interventi fatti da Sace nei confronti della controllata, Bt appunto, che dal 2004 opera nell’assicurazione a breve termine. Un mercato fino ad allora riservato in Italia a operatori esteri, come Euler Hermes, Coface o Atradius. L’avvio di Sace Bt è però stato complicato dal fatto che a breve distanza, nel 2008, sarebbe esplosa la prima grande crisi finanziaria che ha fatto inevitabilmente aumentare i sinistri di una società assicurativa ancora giovane. Al punto che la controllante Sace è stata costretta a più di un intervento di sostegno. Prima era stata offerta una copertura riassicurativa che Sace Bt non era riuscita a procurarsi sul mercato e subito dopo c’era stato un trasferimento di capitale di 29 milioni, concesso nel 2009, seguito a breve distanza da un’altra iniezione di liquidità nel conto capitale di Sace Bt, per 41 milioni. Operazioni finite sotto il mirino della Commissione Europea secondo cui i trasferimenti di capitale sono da ritenere aiuti di Stato e come tali dovranno essere restituiti a Sace.

Eppure, come detto, la Ue, consapevole che la crisi aveva messo a dura prova Sace Bt e tutti gli assicuratori del credito, aveva provato a tendere una mano alle autorità italiane e alla stessa Sace. Indicando un piano d’azione dettagliato che avrebbe potuto evitare la condanna, ridimensionando però al contempo anche l’attività di Sace Bt. In particolare le autorità italiane e la compagnia guidata da Alessandro Castellano avrebbero dovuto presentare a Bruxelles un «piano di ristrutturazione a tutti gli effetti» di Sace Bt entro il 30 marzo successivo. Un progetto molto dettagliato che avrebbe dovuto dimostrare che Sace Bt «sarebbe stata in grado di operare senza nessun altro sostegno di Stato e, alla fine del piano, sarebbe stata in grado di generare un tasso di ritorno adeguato».

Non solo. La società avrebbe dovuto dimostrare che gli aiuti di Stato ricevuti sarebbero stati «limitati a quelli indispensabili per rimettere in carreggiata Sace Bt», senza «consentirle di espandersi in altri mercati o nuovi segmenti di mercato». Anzi, per mitigare gli effetti distorsivi degli aiuti, Bruxelles consigliava Sace Bt di «includere una lista di misure utili per ridurre la presenza sul mercato». Vincoli che evidentemente non sono stati graditi dalle autorità italiane e dal management della società che lo scorso marzo, quando la Ue ha pubblicato la condanna hanno anzi ribadito di «aver sempre agito nel pieno rispetto delle regole di mercato, della concorrenza e senza avvalersi di alcun trasferimento del Mef». Per sapere se la scelta è stata vincente non resta che attendere l’esito dei previsti ricorsi. (riproduzione riservata)