di Andrea Di Biase

Che l’Italia non sia un Paese per giovani, non solo in campo politico, dove il 70enne Mario Monti, succeduto a Palazzo Chigi al 76enne Silvio Berlusconi, è tuttora uno dei più anziani tra i capi di governo dell’Unione europea, ma pure in campo economico, lo è stato detto e scritto in più di un’occasione.

Dalla polemica del 59enne Diego Della Valle nei confronti degli «arzilli vecchietti» Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli, responsabili a suo giudizio di aver ingessato per anni il sistema finanziario italiano attorno alle logiche del capitalismo di relazione, fino al tentativo del 37enne sindaco di Firenze, Matteo Renzi, di rottamare i dirigenti di lungo corso del Pd, a cominciare dall’ex premier Massimo D’Alema, la dimensione anagrafica, alcune volte anche in modo pretestuoso, è finita spesso al centro del dibattito sulle ragioni del declino italiano. Il fatto che chi ha in mano le leve del comando nei palazzi della politica, ma anche nelle grandi banche, appartenga a quella generazione nata a cavallo tra gli anni 30 e 40 del secolo scorso è sintomatico del fatto che in Italia non ci sia stato, come in altri Paesi europei, alcun ricambio generazionale nelle classi dirigenti. Stabilire se questo dipenda dalla mancanza di coraggio da parte delle generazioni più giovani, che per lungo tempo hanno preferito aspettare il proprio turno, facendosi cooptare dal sistema preesistente, anziché chiedere e pretendere che i padri facessero un passo indietro, o dalla determinazione di questi ultimi a non mollare la poltrona, è compito dei sociologi.

Il tema del mancato ricambio generazionale è tuttavia ancora aperto.

La rilevazione effettuata dall’ufficio studi della Uilca (il sindacato dei bancari aderente alla Uil) sui vertici dei principali gruppi creditizi e delle fondazioni loro azioniste non lascia spazio a dubbi. Rispetto alle principali banche estere, dove chi siede sulla poltrona di presidente del cda ha mediamente 62 anni, in Italia l’età media dei presidenti sale a 70 anni (con picchi da 80 a 83 anni). Più contenuto invece lo scarto tra l’età media degli amministratori delegati delle banche estere (57 anni) e quello dei gruppi italiani (60 anni). Per quanto riguarda le fondazioni (la rilevazione della Uilca ne prende in considerazione 68 sulle 88 associate all’Acri) l’età media dei presidenti è di 69 anni, ma se si restringe il campo solo alle grandi fondazioni (per intenderci quelle azioniste di Intesa Sanpaolo e Unicredit) il dato si avvicina a 74 anni. È forse anche per questa vicinanza generazionale che i grandi soci della Ca’ de Sass hanno deciso di rinnovare per un altro triennio il mandato dell’81enne Bazoli alla presidenza di Intesa.

Eppure, quando nel 1982 Bazoli fu chiamato da Beniamino Andreatta a presiedere il Nuovo Banco Ambrosiano aveva solo 50 anni ed era dunque molto più giovane dei suoi omologhi alla Comit (il 65enne Antonio Monti), al Credit (il 62enne Alberto Boyer) e a Mediobanca (il 60enne Fausto Calabria), ma anche degli amministratori delegati di queste tre istituzioni (il 60enne Francesco Cingano, il 58enne Lucio Rondelli e il 59enne Silvio Salteri) per non parlare del consigliere anziano di Mediobanca, l’allora 75enne Enrico Cuccia. Ma Bazoli, rimasto al vertice della banca per 31 anni consecutivamente, non rappresenta certo l’eccezione alla regola. L’83enne Piero Melazzini, dopo essere diventato dg della Popolare di Sondrio nel 1969, a soli 39 anni, nel 1995 ne ha assunto la presidenza, carica che ha mantenuto per gli ultimi 18 anni. Il 79enne Giuseppe Guzzetti, uno dei grandi elettori di Bazoli, presiede la Fondazione Cariplo da 16 anni e nelle prossime settimane dovrebbe essere confermato in carica per i prossimi sei. Lo stesso vale per Antonio Finotti (84 anni), da poco confermato alla presidenza della Fondazione Cariparo, carica che ha ricoperto ininterrottamente dal 2003 dopo essere stato, a partire dal 1997, dg della stessa Fondazione. E che dire della recente nomina del 78enne Giuseppe Vita alla presidenza di Unicredit? La sua nomina è stata possibile solo perché in Piazza Cordusio, così come alla Ca’ de Sass, si sono ben guardati dall’introdurre nei propri statuti limiti di età per chi ricopre la carica di presidente, ad e consigliere. Cosa che invece hanno fatto già da alcuni anniMediobanca, dove il presidente Renato Pagliaro ha 56 anni mentre l’ad Alberto Nagel 47. Piazzetta Cuccia (che non è censita nella rilevazione della Uilca) ha fissato in 75 anni il limite di età entro il quale non si può più essere nominati in cda, mentre soglie ancora più basse sono state fissate per ricoprire la carica di presidente (70 anni) e per quella di ad e direttore generale (65 anni per entrambe). La stessa regola, subito dopo le dimissioni di Geronzi, che allora aveva 76anni, è stata introdotta anche nello statuto del Leone. Allora si disse che era una mossa per chiudere per sempre la porta a un ritorno dell’ex presidente, che bollò i suoi avversari come una «gioventù anziana», dalla quale non c’è da aspettarsi granché. (riproduzione riservata)