di Andrea Di Biase

Martedì 30 aprile si svolgerà a Trieste l’assemblea delle Generali, chiamata ad approvare il bilancio 2012 e a rinnovare il consiglio di amministrazione.

L’occasione potrebbe essere importante per avere un aggiornamento sullo stato di avanzamento del cantiere aperto dal nuovo amministratore Mario Greco (che martedì sarà confermato, così come il presidente Gabriele Galateri) appena dopo l’insediamento al vertice della compagnia lo scorso agosto. Un cantiere finalizzato a colmare il gap di redditività tra le Generali e i suoi principali concorrenti europei e i cui obiettivi sono stati indicati nel corso dell’investor day tenutosi il 14 gennaio a Londra: un risultato operativo superiore ai 5 miliardi (4,2 miliardi nel 2012), con un return on equity operativo del 13% (11,9% lo scorso anno) e un Solvency ratio di almeno il 160% al 2015 (150% al 31 dicembre scorso).

 

Nonostante il giudizio del mercato su quanto fatto vedere finora dal nuovo vertice delleGenerali sia complessivamente positivo, c’è un punto sul quale operatori e analisti ancora si interrogano: ce la farà Greco a centrare il target di 4 miliardi di dismissioni necessario a rafforzare il margine di solvibilità senza chiedere ai soci di mettere mano al portafoglio? Si tratta di un tema cruciale, considerato che in più di un occasione, a cominciare proprio dall’Investor Day, il manager ha affermato con forza di non voler procedere sulla strada del rafforzamento patrimoniale attraverso un aumento di capitale, anche per tenersi a disposizione questa soluzione nel caso sul mercato dovessero presentarsi opportunità di crescita per linee esterne.

Le cessioni di asset diventano dunque centrali, visto che lo scorso 28 marzo il Leone ha girato 1,28 miliardi al finanziere Petr Kellner per acquistare il 25% della joint venture in Est EuropaGenerali Ppf Holding (Gph), salendo così al 76%, e che entro il 2014 dovrà corrispondere all’uomo d’affari ceco una somma equivalente per il rimanente 24%. Anche da qui la necessità di fare cassa attraverso le dismissioni di asset non core.

Parte dei 4 miliardi che Greco intende raccogliere da qui al 2015 dovrebbero arrivare dalle cessioni di Bsi, l’istituto elvetico attivo nel private banking e nel wealth management, e dalle attiva di riassicurazione negli Stati Uniti. Il vertice del Leone si aspetta di raccogliere in questo modo almeno 2 miliardi, ma finora, nonostante il processo di vendita sia iniziato la scorsa estate, non si sono ancora visti risultati tangibili. Per ora si sono susseguite solo indiscrezioni mai confermate dai diretti interessati. Per gli asset americani sembrano essersi fatti avanti Munich Re, Hannover Re e una cordata formata da Berkshire Hathaway e Ace Group, mentre per Bsi sembra essere in pole position il tandem formato dalla spagnola Bankinter e dal fondo di private equity Apollo. Se però sul fronte Usa le cose starebbero procedendo secondo i piani, sul fronte elvetico potrebbero esserci alcuni slittamenti rispetto alla tabella di marcia, considerato anche il ruolo dell’autorità di vigilanza locale, che deve autorizzare il passaggio del controllo e può dunque bloccare eventuali soggetti non ritenuti sufficientemente robusti o credibili. Per questo è piuttosto difficile che tra i pretendenti con concrete possibilità di rilevare Bsi possano esserci operatori provenienti da paesi asiatici o mediorientali.

A Trieste, comunque, non appaiono preoccupati, ma intanto il 3 aprile è stato annunciato a sorpresa il collocamento del 12% di Banca Generali. L’operazione ha permesso al Leone, che rimarrà l’azionista di controllo di Banca Generali con il 51%, di incassare 185 milioni, di realizzare un plusvalenza di 143 milioni e di migliorare il Solvency di circa un punto e mezzo. Qualcuno ha però interpretato il blitz su BancaGenerali come un segnale di difficoltà nel chiudere le altre dismissioni. Sul punto gli analisti sono divisi. Da un lato c’è chi, come Barclays Capital (che lo scorso 22 aprile ha portato il giudizio sul titolo Generali da neutral a overweight, alzando il target price da 12,4 euro a 14,1 euro), ritiene che il gruppo triestino sia in grado di vendere con successo sia le attività Usa sia Bsi, incassando complessivamente 2,16 miliardi. Nello specifico, gli analisti della banca inglese ritengono che Bsi possa essere ceduta per almeno 1,78 miliardi (anche se il prezzo di carico nel bilancio delle Generali è di 2,07 miliardi), mentre dalla valorizzazione delle attività riassicurative negli Usa il Leone potrebbe incassare 375 milioni. Barclays riconosce tuttavia che l’attuale mercato dell’M&A non è favorevole ai venditori e che dunque questi numeri sono incerti. Gli analisti della banca inglese, anche alla luce del recente collocamento del 12% di Banca Generali e della decisione di vendere Bsi, suggeriscono invece una progressiva uscita delle Generali dal comparto dei servizi finanziari. «Vediamo pochi vantaggi strategici per Generali nel detenere queste attività», anche alla luce dell’entrata in vigore di Basilea 3 che potrebbe comportare un ulteriore assorbimento di capitale.

 

Più cauto invece il giudizio di Deutsche Bank (hold con target price a 14 euro). Gli analisti della banca tedesca ritengono che il Leone possa incassare circa 2,2 miliardi dalla cessione di Bsi e degli asset Usa, ma ritengono che i 4 miliardi indicati da Greco non siano sufficiente a colmare il gap patrimoniale tra le Generali e i suoi principali concorrenti. Secondo Deutsche Bank, affinché le Generali possano raggiungere un Solvency ratio del 175%, avrebbero bisogno di capitale aggiuntivo per circa 5 miliardi, che diventano 6 considerando il riacquisto delle minoranze di Gph. Un livello che il gruppo triestino non riuscirebbe a raggiungere con la generazione organica di capitale. Più tagliente, infine, il giudizio di Bernstein. Il broker (che è controllato da Axa, uno dei principali concorrenti del Leone) ritiene che dalla cessione di Bsi e Generali Usa Life Reinsurance il gruppo triestino possa incassare solo 1,5 miliardi. (riproduzione riservata)