di Gianluca Zapponini

I fondi sovrani snobbano l’Italia. Lo sostiene un recente paper pubblicato dalla Banca d’Italia dedicato alle strategie di portafoglio adottate in questi ultimi tempi da 29 tra i maggiori fondi sovrani governativi. Immensi patrimoni gestiti dai governi, in gran parte da quelli dei Paesi asiatici, pronti a acquisire quote più o meno rilevanti in questa o quella azienda.

Bankitalia stima a oggi in 4.700 miliardi di dollari il patrimonio gestito, frutto di operazioni, tra acquisizioni e dismissioni, per oltre 700 miliardi. Cifre da capogiro che però sfiorano solamente l’Italia, a quanto pare non in grado di esercitare il giusto appeal sui fondi. Stando all’analisi di Via Nazionale l’Italia, con 5,1 miliardi di dollari di transazioni registrate negli ultimi anni attualmente «si colloca al 20esimo posto nella graduatoria delle economie destinatarie degli investimenti dei fondi sovrani, per valore complessivo delle operazioni effettuate». Sopra l’Italia ci sono la Germania dove i deal hanno movimentato 30 miliardi di dollari, collocandola al quinto posto, la Spagna (26 miliardi) e la Francia, con poco meno di 8 miliardi.

A guidare la classifica delle economie avanzate, che da sole raccolgono il 70% degli investimenti dei fondi, sono però Stati Uniti e Regno Unito, complici anche gli elevati standard nella regolamentazione presenti nei Paesi, specifica Bankitalia. Dal documento realizzato dagli esperti dell’Istituto guidato da Ignazio Visco emerge però anche un’altro particolare interessante.

A causa della crisi finanziaria globale «negli ultimi anni è cresciuto l’interesse dei fondi sovrani per il settore energetico e delle utility» a discapito del più tradizionale comparto finanziario. In questi settori gli investimenti sono pressoché triplicati, passando dal 5% del 2000 al 15% degli ultimi anni, tanto che a fine 2011 la quota di portafoglio azionario allocata nell’energia e nelle utilities era pari al 26% del totale. A guidare la pattuglia dei fondi a caccia di energia e materie prime è la Cina, bisognosa di «soddisfare il proprio fabbisogno di materie prime e di fonti energetiche». Il tutto come detto, a fronte di un progressivo abbandono delle operazioni prettamente finanziarie, che comunque continuano a rimanere il core business dei fondi sovrani. Negli ultimi anni gli acquisti di pacchetti sono infatti passati dai 90 miliardi del 2007 agli 11 del 2009, per poi successivamente riprendersi e tornare su un valore di 32 miliardi. (riproduzione riservata)