di Carlo Giuro

La recente decisione di Eurofer, il fondo pensione dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, di Anas e delle nuove imprese ferroviarie (tra le quali Ntv), di investire il 5% del proprio comparto bilanciato in un comparto immobiliare pan-europeo ripropone l’opportunità dell’investimento nel mattone. In attesa che venga rivisto il decreto 703/96 sui limiti agli investimenti, va operata qualche riflessione sul tema del real estate sia come strumento di diversificazione e stabilizzazione del portafoglio, che come volano di sviluppo del mercato del mattone. Molto interessante a tal proposito la fotografia del primo Rapporto 2012 sugli investimenti immobiliari del sistema previdenziale italiano, realizzato da Tre (Tamburini real estate). Da un confronto con altri Paesi sviluppati, emerge lo scarso peso in rapporto al Pil del settore previdenziale italiano. Quest’ultimo rappresenta circa il 4,9% del Pil, ovvero un dato assai esiguo considerando che la media semplice dei Paesi Ocse si attesta al 33,9% e addirittura al 72,4% se si prende a misura la media ponderata (in Olanda, Islanda e Svizzera si va oltre il 100% del Pil nazionale). Ma andando più nel dettaglio, cosa emerge dal Rapporto sul fronte della previdenza complementare? Se la previdenza pubblica, fra investimenti diretti e indiretti, alloca quasi il 60% in immobili, per la previdenza obbligatoria privata tale percentuale si attesta complessivamente sul 30%, mentre per la previdenza complementare privata l’investimento immobiliare costituisce solo il 6,6% del totale investito. Con riferimento proprio alla previdenza complementare è necessario rammentare cosa preveda la attuale normativa in materia di investimento immobiliare. La disciplina dei fondi pensione è contenuta nel decreto legislativo 252/05 e nel decreto del ministero del Tesoro 703/96, mentre per i fondi pensione preesistenti va considerato anche il decreto ministeriale 62/07. Per questi ultimi il Decreto in questione stabiliva che entro cinque anni dall’entrata in vigore del provvedimento (dunque entro maggio 2012) i fondi pensione preesistenti dovessero ridurre l’investimento diretto in singoli cespiti e diritti reali immobiliari nei limiti del 20% (salvo deroghe temporali da concordare con Covip), mentre potevano mantenere investimenti in gestione diretta in fondi comuni di investimento immobiliare di tipo chiuso anche oltre i limiti del 703/96. Dal canto loro invece i fondi pensione negoziali possono investire solo attraverso quote di fondi immobiliari. La normativa specifica anche che per tali strumenti è ammessa la sottoscrizione e acquisizione delle relative quote in via diretta in deroga alla regola generale della gestione convenzionata. Vengono però fissati dei limiti entro cui l’investimento può essere effettuato: questo, unitamente ad altri investimenti in fondi comuni mobiliari di tipo chiuso, non può superare il 20% del patrimonio del fondo pensione e il 25% del capitale del fondo chiuso. Va precisato che per i fondi pensione multicomparto il primo limite si applica ai singoli comparti, mentre il secondo, data la logica che è quella di evitare che il fondo pensione abbia il controllo esclusivo del fondo comune, dovrebbe applicarsi al fondo pensione nella sua interezza. Tornando al Rapporto sul mercato immobiliare si stima che a fine 2011 i fondi pensione preesistenti avessero investimenti in immobili (diretti e indiretti, considerando anche le partecipazioni in società immobiliari) per un valore di circa 4,5 miliardi di euro che rappresentano il 18% del proprio patrimonio, con oltre 650 milioni di euro investiti in quote di fondi immobiliari, un comparto, questo, che risulta essere in progressiva crescita negli ultimi anni. Si tratta di una quota di immobili piuttosto contenuta se affrontata a quanto visto a proposito del primo pilastro (il pubblico si aggirava circa sul 58%, mentre il privato sul 23% che arrivava al 30% considerando la quota di investimenti indiretti). Ma va detto che si riscontra una forte concentrazione di investimenti immobiliari in poche e maggiori realtà della previdenza complementare, mentre in molti casi il real estate risulta essere un segmento di investimento inesplorato. Considerando quindi i benefici offerti dal miglioramento della frontiera efficiente scaturiti da una maggiore diversificazione nell’asset allocation, evidenti risultano quindi i margini e le potenzialità di crescita dell’investimento in real estate da parte del sistema previdenziale. Infatti la previdenza complementare, attualmente poco impegnata nel comparto, potrà incrementare in termini quantitativi la propria quota di allocazione nell’immobiliare attraverso strumenti di investimento indiretto. (riproduzione riservata)