DI MICHELE ARNESE

Attriti in vista tra maggioranza tripartita e ministero dell’Economia sul credito al consumo, in particolare sulla regolamentazione della cessione del quinto dello stipendio. Entro settembre scadrà la delega del governo per correggere il decreto legislativo n. 141 del 2010 che ha riformato il credito al consumo. In parlamento ambienti del Pdl si attendono una modifica della normativa sulla cessione del quinto che corregga e limiti l’area indefinita delle spese di istruttoria e degli oneri accessori con cui le società finanziarie fanno lievitare il costo complessivo dell’operazione, ben oltre il tasso di interesse indicato. A segnalare al Tesoro abusi e distorsioni, che mascherano, spesso, entrate occulte per sindacati e patronati, è stato secondo le indiscrezioni raccolte da ItaliaOggi il presidente della commissione Finanze della camera, Gianfranco Conte (Pdl). Ma il ministero dell’Economia, al momento, appare tiepido sul tema, lamentano fonti vicine alla presidenza della Commissione Finanze di Montecitorio. Per credito al consumo si intende il credito per l’acquisto di beni e servizi (credito finalizzato) ovvero per soddisfare esigenze di natura personale (ad esempio: prestito personale, cessione del quinto dello stipendio) concesso a una persona fisica (consumatore). Non costituisce credito al consumo, sottolineano i tecnici della Banca d’Italia, il prestito concesso per esigenze di carattere professionale del consumatore (ad esempio: acquisto di un’autovettura da utilizzare per il trasporto dei dipendenti della propria impresa). La dilazione di pagamento del prezzo viene concessa dai venditori di beni e di servizi. Il prestito è accordato invece dalle banche ovvero dagli intermediari finanziari. Questi ultimi, come le banche, possono concedere finanziamenti in diverse forme (mutuo, credito al consumo, locazione finanziaria) ma, diversamente dalle banche, non raccolgono risparmio nella forma di depositi. Nelle forme del finanziamento, il credito al consumo ha, di solito, una durata variabile da 12 mesi a 72 mesi e non è assistito da garanzia reale (pegno sul bene acquistato) o personale (fideiussione). Ma nel mirino della commissione Finanze della camera, in vista di un altro decreto governativo sul credito al consumo in attuazione di una delega che scade a settembre, ci sono gli oneri eccessivi legati alla cessione del quinto dello stipendio di dipendenti pubblici e privati. La cessione del quinto è un finanziamento personale non finalizzato, a tasso fisso e con rate costanti, che può essere ottenuto dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. La differenza rispetto al prestito personale è che il rimborso delle rate non viene effettuato dal richiedente, ma dal suo datore di lavoro o, nel caso dei pensionati, dall’istituto previdenziale, e che il relativo importo viene trattenuto direttamente dal netto in busta paga o dalla pensione. Si parla di cessione del quinto in quanto la rata non può eccedere la quinta parte dello stipendio o pensione netta mensile. Si tratta quindi di un finanziamento garantito ma, a differenza del mutuo, non prevede garanzie reali, come per esempio l’ipoteca. Le rate vengono trattenute direttamente dalla busta paga o dalla pensione, per cui la garanzia è rappresentata dal reddito del richiedente. Un’altra garanzia è nel Tfr, il trattamento di fine rapporto maturato dal dipendente o nella pensione spettante al pensionato. Ma alle garanzie corrispondono oneri accessori e spese di istruttoria ritenuti eccessivi in alcuni casi. Per questo la commissione Finanze della camera nei pour parler con gli uffici del Tesoro spinge per porre fine a potenziali abusi e distorsioni a carico dei dipendenti e dei pensionati. Ma a Montecitorio si mormora: il ministero dell’Economia sembra tiepido. © Riproduzione riservata