La tassazione dei redditi da attività finanziarie costituisce il punctum dolens di tutti i sistemi tributari. È comprensibile quindi che tutti i paesi debbano affrontare il tema per individuare una risposta appropriata alle sollecitazioni provenienti dall’evoluzione della realtà economica e sociale. In questo senso possono essere interpretati gli interventi introdotti nel 2011. Apprezzabile il tentativo di rendere omogenee le aliquote, al livello del 20%, su una vasta gamma di strumenti finanziari realizzando la neutralità del sistema finanziario nei riguardi di interessi su obbligazioni emesse da privati, di dividendi da partecipazioni non qualificate, e in generale, di proventi da attività finanziarie. I criteri di neutralità non hanno tuttavia trovato applicazione per i titoli di Stato, ai quali si continua ad applicare l’aliquota ridotta del 12,5%. In questa direzione deve essere interpretata anche l’introduzione dell’ace: strumento che dovrebbe eliminare la discriminazione a danno del capitale di rischio che i sistemi fiscali introducono quando consentono la deduzione degli interessi passivi dall’imponibile, ma non la remunerazione normale del capitale azionario, favorendo la patrimonializzazione delle nostre imprese. Nello stesso tempo si deve sottolineare che l’abolizione verificatasi alcuni anni fa della dit, che rispondeva alla stessa logica dell’ace, non è stata certamente una scelta avveduta: oggi le imprese italiane, in un momento di difficoltà nell’accesso al credito, andrebbero incontro a difficoltà minori. Il terzo intervento importante del 2011 riguarda la modifica del trattamento fiscale dei fondi comuni d’investimento. Lo spostamento della tassazione dal fondo su base annuale a quella in capo al sottoscrittore al momento della liquidazione della quota, associata all’abbandono della tassazione alla maturazione, implica un notevole vantaggio fiscale per i risparmiatori. A questo punto non si potrà più parlare di una penalizzazione relativa dei nostri operatori nei confronti dei loro concorrenti stranieri. In conclusione, le scelte effettuate dal legislatore nel 2011 sembrano apprezzabili, sia sotto il profilo della neutralità dello strumento fiscale, che della tutela dell’industria nazionale di gestione del risparmio. Non si tratta di scelte definitive, ma di interventi che dovranno essere continuamente monitorati nei loro effetti e integrati con altri. La stabilità dei mercati finanziari all’interno dell’Unione europea richiede anche la creazione di strutture sovranazionali che siano espressione di una entità effettivamente federale. Roberto Artoni