Uno dei messaggi principali emersi nella recente kermesse del Salone del risparmio di Assogestioni è la necessità di un forte rilancio del risparmio a lungo termine. Con uno spostamento in avanti dell’orizzonte temporale del risparmio si favorirebbe una stabilizzazione dell’investimento con benefici effetti per il risparmiatore, per l’industria del risparmio gestito ma anche per la ripresa economica. Si migliorerebbe l’efficienza dei portafogli individuali incentivandone la diversificazione. Mentre sul fronte dell’industria del risparmio gestito si assicurerebbe maggiore stabilità nei flussi di raccolta in una fase di forte instabilità dei mercati. Nello stesso tempo si potrebbe assicurare nuova linfa di finanziamento all’economia reale riattivando il volano della ripresa. Perché si riesca però a tendere a questo triplice obiettivo virtuoso è necessario incentivare le forme di risparmio orientate al lungo periodo e avviare percorsi di educazione finanziaria. Non è un caso che, in analogia con quanto afferma Assogestioni, sia stato presentato a Parigi poche settimane fa da Ania, Cassa depositi e prestiti e Ffsa (l’associazione delle assicurazioni francesi) il Manifesto italo-francese per una politica in materia di risparmio a lungo termine. Nel documento si fa appello ai policy maker dei diversi Paesi affinché la politica economica europea da un lato sostenga lo sviluppo del risparmio a lungo termine per proteggere le famiglie dai rischi legati all’invecchiamento della popolazione, dall’altro faciliti la trasformazione di queste risorse in investimenti di lungo termine necessari per la crescita economica Lo strumento cui si pensa è rappresentato dai piani di risparmio, introdotti nell’ordinamento italiano dalle recenti manovre fiscali. Questi nuovi piani di risparmio a lungo termine, su cui si è però ancora in attesa dei decreti che ne disegnino le sembianze, saranno tassati con aliquota agevolata dell’11% rispetto all’ordinaria aliquota del 20% prevista per le altre forme di risparmio. Questi piani avrebbero sicuramente un funzione previdenziale potendo rappresentare un quarto pilastro da affiancarsi al primo (previdenza obbligatoria), secondo (previdenza integrativa su base collettiva, ovvero fondi pensione negoziali e fondi pensione aperti che hanno sottoscritto accordi aziendali) e terzo pilastro (previdenza integrativa su base individuale, ovvero polizze previdenziali e fondi pensione aperti). Quello che va in ogni modo chiarito è che questi piani non vanno interpretati come strumenti alternativi alla previdenza complementare che risponde a finalità e a vincoli differenti. I piani di risparmio si pongono piuttosto in un’ottica di complementarietà assolvendo al ruolo intermedio tra la gestione di liquidità e la previdenza. Casi esemplificativi esteri sono quello francese con i plan d’épargne en actions (pea) e quello britannico con gli individual saving account (isa). I pea sono forme di investimento in azioni europee con una tassazione agevolata nel lungo periodo. I risparmiatori possono versare nei pea (sia in unica soluzione che con un piano di accumulo) un capitale massimo di 132 mila euro. Le azioni acquistate sono riscattabili in qualunque momento ma godono di un regime tributario agevolato se detenute per almeno 24 mesi. Il vantaggio è rappresentato dall’aliquota ridotta al 18% in sostituzione della tassazione ordinaria del 22,5%. Oltre i cinque anni invece i rendimenti dei pea sono addirittura esenti. Interessante anche il modello anglosassone. Gli isa sono conti di risparmio in cui possono depositarsi fondi di investimento, azioni, bond, polizze assicurative ma anche eventualmente liquidità. Sono esentasse e flessibili nel funzionamento, è infatti possibile il disinvestimento in qualsiasi momento o il trasferimento da un isa a un altro senza aggravi dal punto di vista tributario. Vi è però un limite massimo di 10.200 sterline o 5.100 sterline nel caso in cui l’oggetto dell’investimento sia la liquidità. (riproduzione riservata) Carlo Giuro