di Roberto Sommella

Italia bombardata come da copione. Quando manovre per 100 miliardi quasi solo di tasse non riescono a frenare la sfiducia dei mercati, occorre chiedersi il perché di tale fallimento. E farlo anche di corsa, visto che da tempo c’erano i segnali di un agguato finanziario. Da ieri, giorno in cui Piazza Affari ha guidato la scia rossa dei crolli in tutta Europa con un meno 4,98% e lo spread risalito fino a quota 405, ha cominciato a interrogarsi anche il premier Mario Monti. E la risposta, che l’inquilino di Palazzo Chigi conosce bene, è una soltanto: di fronte all’incessante aggressività dei mercati, il rigore sul bilancio serve a poco se accanto non vi sono chiare misure destinate a favorire la crescita. A cominciare da un taglio netto al debito pubblico. Un fardello enorme grava sul Paese, aumentato nel 2011 di 50 miliardi nonostante una serie di manovre anti-crisi e una pressione fiscale al 56% reale. A queste condizioni il Moloch della finanza pubblica toccherà la cifra di 2.000 miliardi entro fine aprile. Allora non ci saranno più salva o cresci- Italia che tengano, il re sarà nudo, prigioniero della cecità della Germania che per due anni ha gettato solo scompiglio in Europa. Ma non si può parlare di sorpresa, visto che dall’inizio della scorsa settimana (come MF-Milano Finanza ha denunciato giovedì 5 aprile), nelle sale operative rimbalzavano i nuovi attacchi provenienti dalla City nei confronti dell’Italia. E il governo Monti resta immobile. Anzi, sembrano definitivamente accantonato i migliori propositi di rilancio dell’economia, non è stata istituita la Commissione che avrebbe dovuto stilare una road map per la riduzione del debito pubblico, sono evaporati i dossier del Tesoro sulla costituzione di un Fondo per l’Italia dove far confluire alcuni asset pregiati da vendere subito presso le fasce più abbienti del Paese (Anas, Ferrovie dello Stato, concessioni demaniali e autostradali, Bancoposta). In più, la paura di una patrimoniale ha messo in fuga non meno di 70 miliardi dai depositi delle banche nell’ultimo trimestre 2011. «Senza operazioni straordinarie di finanza pubblica, in cassa ci sono soldi per garantire solo la pensione sociale per tutti, la sanità gratis fino a 50.000 euro di reddito e uno stipendio ai dipendenti pubblici ridotti però di un milione di unità», ha rivelato un ministro che preferisce mantenere l’anonimato. Rispetto alla Spagna, che forse necessita di un piano di salvataggio, e la Grecia, che si avvia a drammatiche elezioni anti-euro, l’Italia è sicuramente migliorata come tenuta finanziaria complessiva, ma resta bersaglio della speculazione professionale e di un mondo finanziario che comincia a intravedere la fine dell’esecutivo tecnico e l’indebolimento inarrestabile dell’intera classe politica, che in finanza si traduce con la fuga dai Btp decennali, ieri risaliti fino al 5,99% mentre i Bund tedeschi a dieci anni scendevano fino allo 0,099%. Perché questa inversione di tendenza in poco meno di una settimana, quando solo prima di Pasqua lo spread ruotava attorno a quota 300 e Monti era per il Wall Street Journal la nuova Thatcher? Qualche risposta c’è. La riforma del mercato del lavoro, non intaccando il totem dell’articolo18, alla fine costerà 2 miliardi di tasse in più per coprire i nuovi contratti a tempo determinato invece di creare occupazione; mentre le banche, i cui vertici saranno ricevuti la prossima settimana dal ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, devono fermare il credit crunch senza far sballare i loro bilanci. Pesano poi le inchieste che stanno sgretolando un’intera classe politica, intenta a varare una legge elettorale proporzionale che renderà il Paese ancora più ingovernabile e soggetto alla sfiducia dei mercati. In questo contesto non stupisce che ieri a Piazza Affari il Ftse Mib abbia ceduto il 4,98% toccando quota 14.458 punti, livello che non vedeva dal terribile novembre 2011, battendo di gran lunga la caduta delle altre piazze europee con i titoli bancari in testa. Nemmeno di fronte a questo stillicidio il governo metterà mano al patrimonio per fare cassa e rilanciare così la crescita? MF-Milano Finanza lo ha chiesto a un’autorevole fonte del ministero dell’Economia, che ha risposto: «Una cosa è certa, non venderemo Eni ed Enel. Sarebbe un gesto da ultima spiaggia». (riproduzione riservata)