MARIANO MANGIA

E’ tempo di consuntivi per l’industria del risparmio gestito e il dilemma è se vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. E’ mezzo vuoto, se si guarda ai 33 miliardi di euro riscattati dai fondi comuni. E’ mezzo pieno, se si pensa che nell’annus horribilis 2008 i riscatti toccarono i 144 miliardi. É ancora, mezzo pieno, se si pensa che peggio del nostro paese ha fatto la virtuosa Francia, in quello che Dan Lefkovitz dell’European Research Team di Morningstar ha definito «un anno da dimenticare per l’industria europea dei fondi aperti», colpita da riscatti per 119 miliardi. Al di là, tuttavia, del modo di leggere i dati del 2011, ci sono alcuni numeri sui quali meditare. I fondi esteri continuano a crescere a scapito di quelli di diritto italiano. 
Ma questa ripartizione, si legge in un commento di Alessandro Rota, direttore dell’ufficio studi di Assogestioni, è «sovrapponibile a quella basata sulla distinzione, non meno importante, tra fondi promossi da Sgr appartenenti ai tradizionali gruppi bancari italiani (—37,5% nel 2011; — 17,6% nel 2010) e resto del mercato formato dai prodotti promossi da intermediari esteri, indipendenti e/o il cui principale canale distributivo è rappresentato dalle reti di promotori finanziari (+4,5 nel 2011, +23,3 l’anno precedente)». Meglio dei fondi, poi, hanno fatto le gestioni individuali di portafoglio: la raccolta netta, secondo i dati Banca d’Italia, è stata negativa per «soli» 16 miliardi e il loro patrimonio, 441 miliardi, ha ora superato quello delle gestioni collettive, calato a 413 miliardi.
Più che un problema di prodotto risparmio gestito, c’è, insomma, un problema di distribuzione, di assistenza prima e dopo la vendita: i mercati finanziari in altalena si affrontano con una rete di promotori o di private banker che supporta le scelte, la selezione iniziale e la successiva manutenzione, la stessa modalità di investimento, l’esempio tipico è il maggior ricorso ai piani di accumulo, oppure con una delega completa di gestione, l’affidare a un professionista la scelta, prima ancora del prodotto, dei mercati sui quali di volta in volta investire, ma non è una soluzione alla portata di tutti. «Il risparmio gestito non è un prodotto, ma un servizio, composto da un sottostante che può essere una gestione fatta da chiunque e ovunque, e da un’interfaccia, un canale che adatta il prodotto alle esigenze, alle aspettative, alle emozioni del cliente» è l’opinione di Giovanni Viani, partner e responsabile Italia di Oliver Wyman. Spiega Viani: «Laddove il canale ha come unica priorità il risparmio gestito, le Gpm piuttosto che i fondi esteri distribuiti da promotori e da strutture private, e fa del livello di servizio un fattore distintivo, allora il risparmio gestito tiene, perché c’è una capacità di gestire le aspettative del cliente, di indirizzarlo correttamente». 
«Laddove, invece, il canale distributivo è una filiale bancaria che deve seguire un differenziato portafoglio di clienti, esigenze e priorità, incluso negli ultimi mesi garantire la necessaria provvista di liquidità della banca, allora il canale fatica a gestire i comportamenti più istintivi dei clienti e deve talvolta sacrificare alcuni prodotti a vantaggio di altri». Non che il cliente della banca ordinaria riceva necessariamente un servizio di gestione dei suoi risparmi scadente. Come sottolineano in Oliver Wyman, c’è un impianto normativo, la MiFid su tutto, che garantisce che al cliente sia fornito un livello di servizio professionale; in termini di prodotti, un conto di deposito o un’obbligazione bancaria probabilmente hanno offerto rendimenti migliori e maggior sicurezza di un portafoglio di fondi, magari non aggiornato. Il punto è piuttosto sulla capacità dello sportello bancario di consigliare, di guidare le scelte della clientela in tema di investimenti. «E’ necessario industrializzare il rapporto con il cliente, al contempo migliorandone l’efficacia», spiega Viani che invita ad investire sull’ultimo miglio, sulla capacità dei gestori di relazione di dare risposte forti ai clienti anche in momenti difficili.
Con questi mercati il gestore di filiale prova una comprensibile resistenza a contattare i clienti, ad intervenire su portafogli che spesso sono una stratificazione di scelte e gestori differenti. «Oggi il gestore non ha un livello di preparazione adeguato e una strumentazione sufficiente a permettergli di dialogare con il cliente sul tema risparmio in maniera credibile», conferma Viani. «Non è attrezzato per spiegare cosa sta succedendo sui mercati e cosa potrebbe succedere, per giustificare al cliente le scelte correnti e quelle future, cosa che invece reti di promotori e banche private, caratterizzate da una focalizzazione esclusiva sulla gestione del risparmio, una maggiore formazione e maggiori strumenti, sono in grado di fare».
La ricetta di Oliver Wyman è una gestione del `risparmio di massa’ standardizzata e fortemente centralizzata che inquadra i clienti in tipologie standard e gestisce centralmente portafogli standard per ciascuna tipologia, così da rendere più agevole il rapporto con il cliente. Con un vantaggio aggiuntivo, la possibilità di utilizzare meglio le competenze di sgr bancarie dal futuro incerto, come suggerisce Viani: «Secondo me è una buona opportunità: ci sono parecchie risorse professionali, impegnate in Sgr troppo piccole, che sarebbero molto più produttive se messe all’interno delle banche ad occuparsi del disegno e della manutenzione dei portafogli, per migliorare il servizio alla clientela».