L’inesattezza grossolana fa scattare il risarcimento al cliente
  di Debora Alberici 

Stretta della Cassazione sulla responsabilità professionale. Deve risarcire il cliente il commercialista che commette errori grossolani nella compilazione della dichiarazione di redditi.

È quanto affermato dalla Suprema corte che, con la sentenza numero 8860 depositata ieri dalla terza sezione civile, ha respinto il ricorso degli eredi di un commercialista che aveva compilato la dichiarazione dei redditi facendo delle considerazioni sbagliate circa il reddito derivante da un’impresa familiare.

In particolare il professionista aveva redatto la dichiarazione imputando i redditi di una piccola società ad ognuno dei due soci nella misura del 50% e imputando a ciascuno dei loro rispettivi coniugi la metà del reddito percepito dalle due imprese familiari.

Per questo l’ufficio delle imposte aveva rettificato il reddito «rilevando l’erroneità dell’imputazione a reddito di impresa familiare di quello proveniente dalla società di fatto». Insomma la rettifica, a conto fatti, era di circa 30 mila euro.

Allora il cliente ha chiesto il risarcimento del danno. L’istanza è stata accolta sia in primo sia in secondo grado. Con la sentenza di ieri, Piazza Cavour ha reso definitivo il verdetto.

Infatti, la terza sezione civile ha condiviso quanto sostenuto dalla Corte d’appello di Brescia che ha motivato la condanna del professionista richiamando il criterio generale di ordinaria diligenza. In particolare i giudici hanno messo nero su bianco che «il commercialista incaricato della compilazione delle denunce dei redditi doveva redigere le dichiarazioni secondo le regole che presiedono alla corretta denuncia dei redditi del singolo dichiarante, forte della basilare nozione sopra riportata». Pertanto, appariva corretto il richiamo, da parte del primo giudice, al canone della diligenza contenuto nell’art.1176 cod. civ. e «del tutto condivisibile la considerazione che il commercialista non avesse adempiuto all’incarico di predisporre le dichiarazioni dei redditi dei clienti con la diligenza e la perizia che si richiedono al professionista nell’espletamento dell’incarico ricevuto».

Una sentenza depositata l’anno scorso, la numero 9916, si incardina perfettamente in questo filone giurisprudenziale con il quale è stata inasprita la responsabilità del professionista, in particolare del commercialista, che commette errori grossolani. La terza sezione civile ha affermato in quell’occasione che il commercialista deve al cliente la metà delle sanzioni fiscali qualora abbia esposto in dichiarazione dei costi non documentati o non inerenti all’anno d’imposta. Sempre dello stesso segno è la sentenza numero 10966 del 2004 secondo cui «in tema di responsabilità professionale, la valutazione relativa all’esistenza e all’entità della colpa del professionista è rimessa al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione completa e adeguata». In questo caso la Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva affermato la responsabilità professionale del commercialista che, non avendo compiuto un esame accurato degli atti rimessigli dal cliente, aveva fatto decorrere i tempi per proporre l’opposizione dinanzi al competente giudice tributario, tenuto in considerazione anche il fatto che, all’epoca, il rito tributario non prevedeva la condanna del contribuente al pagamento delle spese processuali, e la prevedibilità di un imminente condono.

Di segno opposto c’è invece un’altra decisione di qualche mese fa, la numero 3651, e secondo cui rischia le sanzioni fiscali l’azienda che ha una contabilità irregolare nonostante tali scritture siano state tenute dal commercialista.