Non decolla il secondo pilastro delle pensioni. Secondo gli esperti, per incentivare le adesioni bisogna passare a un sistema di tipo Eet, con esenzione di tasse su contributi e accumulazione

di Carlotta Scozzari – 30-04-2011

La riforma del Tfr, che ha fatto sì che a partire dal 2007 ciascun lavoratore dipendente privato potesse scegliere se aderire alle forme pensionistiche complementari, destinando (obbligatoriamente, in caso di fondo negoziale) il proprio trattamento di fine rapporto, non ha avuto l’esito sperato. Probabilmente anche per colpa dei rendimenti dei prodotti previdenziali che, su base cumulativa, spesso non sono stati in grado di battere la rivalutazione (garantita) del Tfr. Sulla base dei dati forniti da Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, infatti, i prodotti negoziali, in aggregato, nel 2007 si sono difesi con un rendimento del 2,1%, mentre i fondi pensione aperti hanno galleggiato con un -0,4%, contro il +3,1% di rivalutazione del Tfr. Ma nel 2008, poi, con la crisi economica, c’è stato il crollo: -6,3% i prodotti di tipo chiuso e -14% i fondi aperti, contro il +2,7% offerto dal Tfr. E la ripresa del 2009 (+8,5% i fondi chiusi e +11,3% quelli aperti), seguita dal buon andamento del 2010 (stando ai dati provvisori Covip, i prodotti negoziali hanno guadagnato il 3% e gli aperto il 4,2%), non basta è bastata a far ingolosire gli investitori. Anche perché i fondi, in particolare quelli con fini pensionistici, vanno valutati nel lungo periodo. E il bilancio cumulato egli ultimi quattro anno non sorride proprio a tutti. Probabilmente, dunque, è per questo che le adesioni continuano a latitare. Soprattutto per i prodotti chiusi, che nel 2010 hanno sopportato un calo annuo degli iscritti nell’ordine dell’1,4 per cento. In termini di adesioni, invece, si stanno difendendo i prodotti aperti, con un incremento degli iscritti a fine 2010 del 3,4 per cento. In grande spolvero, invece, i Pip (Piani pensionistici individuali), che hanno registrato una crescita delle adesioni a doppia cifra, pari al 30% circa.

ADERENTI ANCORA LATITANTI. Resta il fatto che fino a oggi l’Italia non brilla certo per adesioni. «Purtroppo, nel nostro Paese i lavoratori non sono ancora coscienti della necessità di aderire a un fondo pensione complementare con l’obiettivo di mantenere inalterato il tenore di vita al momento del pensionamento». Questa l’osservazione di Cesare Petrò, coordinatore previdenza complementare di Arca Sgr, attiva nel comparto con il fondo aperto Arca Previdenza. «Sicuramente – prosegue Petrò – rispetto al mantenimento del Tfr in azienda, la scelta del fondo permette una reale gestione finanziaria dei propri risparmi previdenziali. Ovviamente, risentendo dell’andamento dei mercati, la performance dei prodotti previdenziali negli ultimi tre anni è stata strettamente legata alla natura del comparto prescelto dall’aderente. Così, dalla fine di marzo 2008 alla fine dello stesso mese di quest’anno, il comparto Obiettivo Tfr di Arca Previdenza ha realizzato un rendimento netto pari al 10,34%, contro quello netto del Trattamento di fine rapporto del 7,48 per cento». E nello stesso intervallo di tempo, anche le linee previdenziali offerte da Sella Gestioni sono riuscite a tenere il passo del Tfr, «con l’unica eccezione di quella sul mercato azionario europeo – fa notare Leonardo Cervelli, direttore commerciale di Sella Gestioni – Se però all’elemento puramente finanziario aggiungiamo il vantaggio della deducibilità dei versamenti e, qualora presente, quello del datore di lavoro, il risultato per gli aderenti è complessivamente soddisfacente».
Quanto alle adesioni, poi, Petrò spiega: «Grazie anche alla nostra rete di collocatori, molto ampia e capillare su tutto il territorio, abbiamo avuto un significativo aumento in termini sia di iscritti, pari a circa 125mila, sia di patrimonio, di oltre 1,2 miliardi di euro». Il fondo Eurorisparmio di Sella Gestioni, invece, ha registrato nei primi tre mesi del 2011 mille iscritti, arrivando a superare i 14mila aderenti. Numeri sì positivi, ma ancora troppo piccoli. Basti pensare che complessivamente il numero di aderenti alla previdenza complementare è di 5,3 milioni di persone. Come fare, dunque, per incentivare le adesioni?

TRA EDUCAZIONE E RIFORME. «Riteniamo – afferma Cervelli – che un intervento decisamente risolutivo consisterebbe nell’adottare un modello cosiddetto Eet, ossia che, oltre alla deducibilità in sede di contribuzione, garantisca anche la non tassazione dei redditi finanziari derivanti dalla rivalutazione degli attivi destinati alla previdenza, come avviene già in molti Paesi europei. Sarebbe un messaggio decisamente importante che andrebbe a riconoscere la funzione sociale e non speculativa degli investimenti finalizzati a integrare un sistema pubblico non più in grado di sostenere in modo adeguato il tenore di vita dei futuri pensionati». A parere di Petrò, invece, il problema è per lo più legato all’educazione finanziaria: «Più che di riforme è necessaria una continua e costante informazione per rendere tutti consapevoli della questione previdenziale».