di Edoardo Narduzzi  

Il settimanale economico The Economist ha dedicato una sua recente cover al problema delle pensioni nel mondo avanzato. Alzare l’età pensionabile a 70 anni per evitare la bancarotta del sistema è la sintesi della proposta del magazine. La solita rincorsa tra aumento della speranza di vita e incremento dell’età per accedere al diritto pensionistico che da molti anni caratterizza il dibattito previdenziale occidentale. Forse è giunto il momento di immaginare scenari e contesti diversi per il secolo in corso. La pensione, come la conosciamo oggi, è figlia della rivoluzione industriale e della nascita dello Stato-nazione. Gradualmente, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, la maggiore ricchezza prodotta dall’economia e l’intervento pubblico redistributivo hanno permesso di organizzare i trasferimenti finanziari intergenerazionali che sono alla base del meccanismo pensionistico. Un contesto ricco di certezze: dal lato della produzione, da quello dell’occupazione, sul fronte della difendibilità del mercato domestico e così via. Il ventunesimo secolo è molto diverso. Il lavoro è volatile e discontinuo, la produzione segue cicli brevi di delocalizzazione continua, i paesi emergenti seguono regole originali nell’organizzare lo stato sociale. Le pensioni future dei cinesi o dei russi sono davvero sideralmente distanti dai diritti che ci si potrebbe attendere riconosciuti da governi comunisti o ex comunisti. La previdenza nei Bric è legata alla loro capacità di generare crescita economica, agganciata in questo secolo alla ricchezza aggiuntiva prodotta. Poca, pochissima previdenza statale o pubblica e tanta iniziativa individuale o privata. L’avanzata delle nuove economie e la crisi dei modelli occidentali, più di ogni altro di quello europeo caratterizzato da uno stato sociale onnivoro, dischiudono un’autostrada alla nuova previdenza del ventunesimo secolo. Non ci sarà più uno schema pensionistico pubblico pensato per essere un ombrello generalizzato. Realisticamente non ci saranno neppure più le pensioni come le abbiamo ereditate dal Novecento. Tutti lavoreremo fino a quando la biologia ce lo permetterà e matureremo un diritto a ricevere il «dividendo pil» annualmente prodotto dalla crescita. La riforma imposta al ventunesimo secolo dalla globalizzazione è proprio questa: realizzare un sistema pensionistico correlato al contributo da ciascuno dato alla crescita economica. Più si cresce, meglio si sta individualmente e collettivamente. È la capacità di generare pil l’assegno pensionistico del secolo in corso e l’Inps dovrà ripensarsi per gestire questo cambio di paradigma.