di Cesare Maffi  

La sentenza torinese sulla Thyssen Krupp viene già traguardata alla Cassazione. Ancora si debbono leggere le motivazioni, ancora si deve svolgere il processo d’Appello, eppure il mondo giuridico mira alla Suprema Corte. Alcuni, come Raffaele Della Valle, difensore di Enzo Tortora e noto avvocato brevemente tentato dalla politica (fu vicepresidente della Camera, per Fi, fra il 1994 e il ’96), ritengono che «in Cassazione quel verdetto dovrebbe essere corretto in una direzione più consona alla razionalità giuridica» (il Riformista, domenica 17). Dall’altra parte, Felice Casson, già conosciuto magistrato in quel di Venezia e da due legislature autorevole senatore per il Pd, teme che la sentenza possa tenere: «Ora speriamo che l’impianto accusatorio regga fino alla Cassazione» (l’Unità, domenica 17).

La sinistra, e non soltanto quella, si è ampiamente espressa in senso favorevole alla sentenza, soddisfatta perché per la prima volta è stato condannato, in materia di sicurezza sul lavoro, addirittura un amministratore delegato di un’impresa per omicidio volontario, sia pure con dolo eventuale. Quello che era parso un azzardo tentato dal procuratore Raffaele Guariniello si è rivelato traducibile in realtà, al punto che qualche pena irrogata è stata superiore alle stesse richieste del pubblico ministero. Dal centro-destra sono state minori del previsto le voci invocanti cautela o comunque critiche.

Quel che era emerso in un rapporto interno all’azienda, ossia le difficoltà oggettive di un processo a Torino, ha trovato piena conferma dalla sentenza. Una giuria popolare, quindi non di soli togati, è stata verosimilmente condizionata dall’emotività della vicenda, e poi dal clima creatosi nella città, dalla stessa presenza fisica dei familiari nelle udienze. C’è da chiedersi se identica sarebbe stata la sentenza, ove il dibattimento si fosse svolto in una sede meno densa di pressioni psicologiche. Altro ambiente, altra sentenza. Probabilmente anche la Corte d’assise d’appello potrebbe confermare la sentenza, sempre per motivi ambientali ed emotivi, e quindi solo la Cassazione potrebbe riportare un po’ di ragionevolezza. La condanna per omicidio volontario risponderà sì alla sete di vendetta delle vittime e dei familiari, ma segna una svolta netta nella giurisprudenza, una svolta pericolosa.